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Lo Zen e l’arte ceramica

“Zen do, le vie dello Zen”: Nobilitare l’arte ceramica fino a farla divenire espressionane filosofica, spirituale e metafisica. A questo giunge l’opera dell’artista di Albissola Marina, Eugenio Lanfranco, che ancora nelle prossime settimane esporrà presso le sale del castello di Spezzano.

Una mostra visiva che sfiora l’impercettibilità del pensiero e della riflessione. Nella simbologia orientale rispresa dall’Artista infatti, Zen Do, la via dello Zen, si propone come un percorso della ricerca interiore attraverso cui ritrovare la propria “natura di Buddha”. Lo Zen è il mezzo con cui percorrere la Via, Do. Questo il significato del viaggio che Lanfranco fa percorrere in questa nuova occasione, alla ricerca di quel soffio (ki), di quella forza che sprigiona da ogni cosa.
Le opere in mostra al Castello di Spezzano sono ispirate dallo Zen e dagli ideali estetici del wabi, il gusto della semplicità, della quiete, della purezza, dell’incompiuto, e del sabi, fascino della solitudine, dell’effetto del tempo sulle cose, sensualità e raffinatezza contenute.

Zen Do

Per la filosofia Zen l’attività manuale è uno dei mezzi per raggiungere l’illuminazione, ecco perché l’artista lavora la ceramica e il vetro mettendo in perfetta consonanza mano e spirito. E’ la concezione Zen di Vuoto, inteso come Assoluto, che porta l’Artista a creare giardini di vetro e di terracotta, piccoli spazi, quasi vuoti, dove è lasciata solo l’essenza delle cose, giardini che vogliono essere dei koan, enigmi, che possono indicare la via del risveglio e dell’illuminazione. Opere di una semplicità rigorosa, che tende quasi ad identificarsi con il nulla, basta una parvenza di colore per evidenziare l’intima natura del giardino che, nonostante quest’essenzialità, sprigiona egualmente tutta la sua poesia. Sono i giardini di niente, mutei.

Al Castello di Spezzano Lanfranco ha raccolto quella parte della sua produzione artistica più legata all’arte e alla cultura giapponese: giardini di pietre, sekitei, ceramiche cotte con tecnica rakù, vasi e oggetti che sembrano fatti per una stanza del tè, sukiya, Dimora della Fantasia, del Vuoto, dell’Asimmetrico. Opere che trascendono i limiti di spazio e tempo per vivere nell’eterno presente, che ricordano l’epoca numinosa delle origini, arte quindi come “cammino che conduce agli dei” (kami no michi), mezzo che può portare all’Illuminazione.
Articolato in sette tappe utopiche la barca, obbligatoria al primo passo, ci introduce al barocco nuovissimo con i piatti riproposti in vetro a sprazzi, le ciotole come dilatazione alla conoscenza e il vasellame, come detto in oro, dettato, questo oro, a fare da eco alle fusioni e alle effusioni di ombra. I chiaroscuri degli “zendo” da viaggio (che ognuno porti il suo giardino in tasca) riducono all’essenza, ed in senso ampio, tutte le nostre più alte sensazioni, i prati “all’inglese” confinati nelle periferie della memoria. Il viaggio di Lanfranco dice questo: guardate l’apparenza delle cose, non credete ad una pigra verità, transitate tra il concreto e l’astrazione, gradino dopo gradino, sorridenti, verso l’alto più alto di ogni via. Nel deserto sta la macchina del vento ma il ponente è seminato di “toiri”, al nuovo porto Rakù abbraccia Tori.
















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