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Manovali a progetto: la flessibilità entra in cantiere

La flessibilità a tutti i costi è arrivata anche in edilizia, un settore finora alle prese con fenomeni negativi ma tradizionali, come gli infortuni e il lavoro irregolare, ma non ancora interessato dalle dinamiche che caratterizzano di solito il terziario o la new economy. Da qualche tempo anche nelle costruzioni ci sono lavoratori che devono presentarsi sul posto di lavoro alle 7 del mattino insieme ai colleghi, ma non sono dipendenti e beneficiano solo in minima parte di contributi previdenziali, maternità, assegni familiari, malattia e assicurazione contro gli infortuni.

I “muratori del terzo millennio” sono assunti con i contratti a progetto introdotti dalla Legge Biagi.
«Ci troviamo di fronte a una vera e propria distorsione nell’utilizzo di questi contratti – afferma Domenico Chiatto, segretario provinciale del sindacato edili Filca-Cisl di Modena, che negli ultimi due mesi ha attivato oltre venti vertenze in materia – Abbiamo constatato che queste nuove forme di lavoro sono utilizzate spesso per eludere i rapporti di lavoro subordinato.
A volte ci troviamo di fronte a progetti o programmi di lavori non ben definiti, in cui l’autonomia del collaboratore di fatto è negata perché egli è vincolato all’organizzazione aziendale per l’uso dei mezzi, l’esecuzione delle opere e l’orario di lavoro. Insomma, li chiamano lavoratori a progetto, ma in realtà sono manovali». Il segretario della Filca cita una recente sentenza del Tribunale di Torino, in base alla quale il lavoro a progetto si colloca nell’area del lavoro autonomo e come tale non può consistere in “una mera messa a disposizione di energie lavorative”. Lo stesso compenso, che oscilla tra i 700 e i 900 euro mensili lordi per un’attività svolta mediamente 40 ore settimanali, è in realtà un quarto del corrispettivo che, secondo la legge, il datore di lavoro dovrebbe riconoscere al collaboratore.
«La normativa, infatti, – spiega Chiatto – prevede che il compenso debba essere non solo proporzionato alla qualità e quantità del lavoro eseguito, ma anche omogeneo ai “compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nei luoghi ove si svolgono i lavori”.

Ora un lavoratore autonomo in edilizia per la sua attività chiede mediamente dai 20 ai 25 euro orari che, se rapportati a 160 ore mensili di lavoro, fanno in totale almeno 3.200 euro al mese.
Una cifra ben diversa da quella riconosciuta ai co.co.pro, spesso erogata con prospetti paga del tutto simili a quelli dei lavoratori dipendenti, magari – aggiunge il sindacalista Cisl – con una quota esentasse di rimborsi spese per simulare un netto finale simile a un compagno di lavoro dipendente di un’altra impresa». Il sindacato ha guardato con diffidenza il boom del lavoro autonomo, espresso con la nascita di una miriade di imprese individuali e l’apertura di partite Iva, ma secondo la Filca-Cisl ora si sta passando il segno e il lavoro autonomo viene interpretato in modo spregiudicato. Chiatto ricorda che il settore delle costruzioni, e l’edilizia in particolare, è caratterizzato da sempre da una fortissima prevalenza dell’apporto umano sui mezzi, pertanto il costo del lavoro rispetto ad altri settori manifatturieri rappresenta per un’impresa un forte elemento di concorrenza che, unito all’organizzazione del lavoro e alla professionalità delle maestranze, determinano la sua capacità di stare sul mercato.

«Non è sufficiente che una forma di lavoro sia lecita e normata perché l’azienda possa utilizzarla liberamente: è necessario che la forma di lavoro sia congrua e attinente all’attività svolta dal lavoratore – dice Chiatto – La Flc (sigla unitaria dei sindacati delle costruzioni, ndr) ha sempre espresso forti dubbi sul lavoro operaio a part-time, sulle associazioni in partecipazione o le prestazioni occasionali, perché riteniamo che non siano forme di lavoro credibili in edilizia, non tendono alla stabilizzazione del soggetto in ambito lavorativo, non aiutano a diminuire il numero e la gravità degli infortuni. Pertanto credo convenga a tutti – lavoratori, imprese, istituzioni, enti paritetici di settore, associazioni datoriali e organizzazioni sindacali – definire regole condivise sulle recenti normative sul lavoro, così come su appalti pubblici, regolarità contributiva, sicurezza ecc. Occorre monitorare costantemente il mercato modenese del lavoro per individuare il sommerso e reprimerlo nei modi dovuti, espellendo dal mercato chi viola le regole a danno – conclude il segretario degli edili Cisl – di lavoratori, imprese e dei consumatori finali del prodotto edile».
















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