Si inaugura venerdì 16 settembre a Palazzo Santa Margherita, corso Canalgrande 103 a Modena la mostra “Melina Mulas. Il Terzo occhio. I Lama del Tibet: l’antica saggezza di Nalanda”, curata da Angela Vettese.
Organizzata dalla Galleria Civica e prodotta con la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, la mostra è parte delle iniziative del festivalfilosofia, dedicato quest’anno al tema dei sensi.
Circa sessanta immagini in bianco e nero sono testimonianza di un imponente lavoro di ricerca iniziato 14 anni e fa terminato nel 2002 sotto la guida del Dalai Lama che ha orientato l’autrice verso i maestri più rappresentativi e l’ha aiutata a raggiungerli attraverso l’India, il Sikkim, la Francia, l’Austria, il Nepal, la Svizzera e l’Italia. Obiettivo: la testimonianza rigorosa dei volti dei Lama buddisti.
Di indispensabile supporto è stato il dipartimento di Cultura e Religioni del governo tibetano in esilio a DharamSala.
L’antica tradizione spirituale tibetana, preservata e trasmessa nella sua integrità grazie all’insegnamento dei maestri rifugiati dagli anni Sessanta in India e in Nepal è il primo protagonista della mostra. (Dopo l’invasione cinese che ebbe luogo nel 1959, infatti, solo una severa disciplina e un profondo attaccamento alle radici hanno consentito che questa tradizione millenaria non andasse perduta).
Il secondo protagonista è lo sguardo: quello che noi rivolgiamo all’esterno e quello che riceviamo.
I Lama tendono a sviluppare, nelle loro pratiche meditative e grazie a un’educazione costante, ciò che si definisce il terzo occhio. Queste immagini, quelle appese ai muri così come quelle del catalogo di mostra, rappresentano dunque sguardi particolarmente educati a vedere – tranne nel caso dei lama bambini, individuati come reincarnazioni di grandi Lama ma ancora, ovviamente, all’inizio della loro formazione spirituale.
Con il semplice espediente di chiedere loro di guardare l’obiettivo, Melina Mulas ha messo questi personaggi in condizione di regalarci appunto il loro sguardo.
Datasi queste regole, la fotografa non ha indugiato verso effetti spettacolari o emotivamente accattivanti, risolvendo il suo lungo lavoro in una serie di immagini in bianco e nero, stampate senza elaborare l’immagine e anzi tenendone spesso in evidenza il bordo scuro che si forma ai margini della pellicola.
Spogliata dal suo sapore esotico o turistico, la cultura di un Est che non ci appartiene, ma che ci è sempre più vicina, assume il semplice ma assertivo carattere di una presenza ineludibile.
Nessuno è riuscito a distruggere quegli sguardi e ciò di cui sono eredi.
A nostra volta, queste fotografie ci pongono in condizione di sentirci osservati e di osservare. E’ il primo passo attraverso cui riceviamo una lezione rivolta al sapere guardare.
Il gioco delle immagini sta in questa reciprocità, che rivela due aspetti diversi ma tra loro legati: la reciproca osservazione genera tolleranza, sia tra soggetti singoli sia tra popoli; la fotografia, come pratica per eccellenza non violenta e che nasce nella reciproca osservazione, può farsi mezzo di indagine antropologica ma anche veicolo di un più vasto incoraggiamento alla comprensione tra culture.
La mostra è accompagnata da una ventina di fotografie a colori che danno un’idea del contesto in cui si è andata sviluppando e ancora vive la cultura tibetana.
A corredo della rassegna sarà pubblicato dalla casa editrice 5Continents di Milano un volume di fotografie di Melina Mulas .
Note biografiche
Melina Mulas (1960) si è formata a Milano e durante viaggi di studio a Parigi e a New York.
Dal 1991 è in stretto contatto con il governo in esilio del Dalai Lama per la realizzazione del libro Il terzo occhio. Nei suoi numerosi viaggi in India ha anche realizzato una serie di reportages sulla vita quotidiana in quel Paese.
In Italia lavora soprattutto nell’ambito della fotografia di architettura e di moda. Collabora con Abitare, Harper’s Bazaaar, le Edizioni Condé Nast.
Ha realizzato numerosi ritratti di musicisti classici per le copertine degli album. Ha realizzato le campagne pubblicitarie di Mila Schön.
Dal 1985 dirige l’Archivio Ugo Mulas e cura le principali esposizioni riguardanti l’opera di suo padre.
Il Dalai Lama è uno dei grandi maestri spirituali del nostro tempo nonché il capo del governo tibetano in esilio. Nato il 6 luglio 1935, quest’anno ne vengono celebrati i settant’anni.
Il suo nome d’origine è Tensin Gyatso. I suoi genitori abitavano in un villaggio contadino della regione di Amdo, nel Nord Est del Tibet.
Riconosciuto come la reincarnazione dei suoi tredici predecessori, è divenuto guida spirituale e temporale del Tibet.
Il titolo di Dalai Lama significa “oceano di saggezza”.
Nel 1950, all’epoca dell’occupazione militare del Tibet, il quindicenne Dalai Lama cercò invano di stabilire una relazione con le autorità cinesi. Nel 1959 l’intera comunità tibetana fu condannata all’esilio.
Uomo di pace e portatore di comprensione e tolleranza tra popoli e religioni, nel 1989 ha ricevuto il premio Nobel per la Pace per la sua lotta pacifica di liberazione del Tibet.
E’ stato il primo premio Nobel che abbia ricevuto apprezzamenti per la sua grande attenzione anche ai problemi dell’ambiente e dell’ecologia.
Nel 1987 ha proposto un “Patto di pace in cinque punti”, nella speranza che il Tibet diventi un fulcro di pace nel centro dell’Asia. Fino ad ora, la Cina non ha dato alcuna risposta a nessuna delle sue proposte.
Oggi il Dalai Lama vive a Dharamsala, un villaggio ai piedi dell’Himalaya, dove ha stabilito la sede del governo in esilio. Continua nel suo insegnamento del buddismo conciliando una vita monastica e un profondo impegno politico contrassegnato, da un continuo viaggiare proponendo la via della non violenza, tramite un insegnamento rivolto in prevalenza a un pubblico non-buddista.
Descrive se stesso come un semplice monaco.
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