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Lettera aperta operatori Dipartimento Salute Mentale Azienda Usl Bologna

Il dott. Euro Pozzi, psichiatra dell’AUSL di Bologna, è stato condannato con sentenza passata in giudicato, perché nel 2000 un paziente con problemi psichiatrici, del quale egli era referente, ha ucciso con una coltellata un educatore della struttura di Imola presso la quale era ospitato. L’omicida fu dichiarato non imputabile.

Con la presente noi operatori della Salute Mentale intendiamo esprimere il nostro sgomento e profondo dolore per una morte tanto assurda, che ha colpito un’intera famiglia. Nel contempo esprimiamo la più profonda solidarietà al dott. Pozzi, serio e stimato professionista, ritenuto, al momento, unico colpevole della tragedia e lasciato solo in una vicenda così drammatica.
Tale situazione ci porta ad esternare alcune riflessioni, derivanti dalla nostra esperienza quotidiana.

La prima è relativa al fatto che questo tragico episodio si è verificato in una Comunità residenziale, all’epoca organizzata senza medici, né infermieri, né altre figure sanitarie stanziali, lasciata alla completa responsabilità gestionale di educatori (che sono figure professionali non deputate alla gestione di emergenze sanitarie). A nostro avviso è motivo di riflessione che dopo il tragico accadimento tale Comunità fu tempestivamente riorganizzata da coloro che l’avevano predisposta diversamente.

La seconda riflessione riguarda la non semplice né diretta correlazione tra scompensi psicopatologici acuti (ed eventuali agiti auto e/o eterolesivi) e singoli aspetti della cura psichiatrica, quali la variazione di una terapia farmacologica. Il percorso di cura, come tutti noi sappiamo, è complesso e sfaccettato ed i suoi elementi costitutivi non possono essere considerati isolatamente, né avulsi dal contesto di vita e di relazioni nel quale i nostri pazienti vivono. Riteniamo inoltre che in alcuni casi anche percorsi di cura adeguati non siano sempre sufficienti al contenimento di possibili agiti: alcuni pazienti, in alcuni momenti, possono compiere atti socialmente pericolosi, così come può succedere a persone “sane”. Sarebbe intellettualmente disonesto continuare a sostenere il contrario.
Ci preme in definitiva, sottolineare come il compito di noi operatori della salute mentale sia, in ottemperanza alla vigente legge, quello di cura e non di custodia. E’ necessario ribadire che la complessità, la multifattorialità, la gravità delle condizioni cliniche possano portare in alcuni casi, fortunatamente rari, al verificarsi di situazioni difficilmente prevedibili e pertanto evitabili, nonostante l’ampio corredo di strumenti tecnici ed umani a nostra disposizione.

E’ nostro intento portare questo contributo all’attenzione dell’opinione pubblica e delle Istituzioni, sanitarie e non, perché riteniamo sia estremamente importante poter continuare a garantire serenamente un lavoro che ci vede costantemente impegnati con i pazienti e le loro famiglie.
Ci scusiamo infine con i nostri pazienti ed i loro familiari per questa “rottura” del consueto riserbo e silenzio che sempre fa da cornice al nostro lavoro, ma riteniamo che la drammaticità della circostanza imponga una riflessione comune per la messa a punto di strategie efficaci.

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