“Tra Bologna e Piacenza non c’è forse mosaico di IV secolo d.C. più importante di quello scoperto nella Cattedrale di Reggio Emilia, uno dei più interessanti di tutta l’Italia settentrionale, per dimensione, raffinatezza e tecnica di realizzazione”.
Non ha dubbi il Soprintendente per i beni archeologici dell’Emilia-Romagna, Luigi Malnati, nel commentare l’esteso pavimento a mosaico di età tardoantica rinvenuto nella cripta, un autentico tappeto di pietra pertinente ad un edificio civile, forse la domus di un patrizio o un magnate. La stanza doveva essere enorme: le indagini archeologiche ne definiscono il solo limite orientale (quello verso Piazza San Prospero) ma è plausibile che potesse raggiungere i 200 mq.
Dello scavo, tuttora in corso, si è parlato durante un incontro a cui erano presenti, oltre a Malnati, Carla Di Francesco, Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna, Renata Curina, archeologa della soprintendenza, Mons. Francesco Marmiroli, Vicario Episcopale per la Cattedrale di Reggio Emilia, Mauro Severi, Direttore dei lavori di restauro della Cattedrale di Reggio Emilia e Giancarlo Bellentani, Vice Presidente del Comitato per il Restauro della Cattedrale.
Il mosaico è stato trovato a due metri e mezzo di profondità dall’attuale piano di calpestio della cripta e la parte rinvenuta si estende complessivamente per circa 13 mq. È realizzato con piccole tessere in vari tipi di pietre e paste vitree e, in alcuni punti, con tessere in lamina d’oro. Del grande pavimento originario rimangono parte della cornice, costituita da una treccia a più colori, ed alcune parti del tappeto musivo, caratterizzato da una complessa decorazione policroma, di notevole qualità, che alterna elementi geometrici e figurati. Ampi cerchi e semicerchi, incorniciati da un torciglione policromo, contengono pernici, colombe, pavoni, gazze, piccole figure di danzatori e tre scene di carattere mitologico.
La prima raffigura il busto di un uomo nudo sorretto da dietro da due braccia, un’immagine che da principio ha fatto pensare a Noè ubriaco sostenuto dai figli ma che parrebbe più da collegarsi alle rappresentazioni di Dioniso ebbro.
Una seconda porzione di mosaico rinvenuta nel prosieguo degli scavi ha definitivamente confutato l’ipotesi biblica. Il riquadro contiene due figure nude e riccamente ingioiellate: l’uomo regge nella mano destra due anatre vive, la donna un grosso pesce ancora attaccato alla lenza. Per Malnati una raffigurazione così palesemente pagana deve essere stata realizzata prima che l’imperatore Teodosio rendesse il Cristianesimo religione di Stato dell’Impero romano (380 d.C.), promulgando una serie di decreti (391-392 d.C.) che punivano severamente i culti pagani, sia pubblici che privati.
La realizzazione del mosaico andrebbe dunque a collocarsi nel pieno IV secolo d.C.
Il terzo riquadro, rinvenuto lo scorso dicembre, ha una raffigurazione per molti versi straordinaria: ritrae una figura maschile nuda con il capo cinto da una corona d’edera. La mano destra solleva un fiore di loto mentre la sinistra regge il lituo, un bastone ricurvo, simile a quello pastorale, che nell’antica Roma era usato dagli Auguri sia come strumento di culto che come simbolo dell’appartenenza al gruppo sacerdotale.
I riquadri sono di difficile interpretazione ed è in corso di redazione il montaggio delle diverse porzioni del manufatto, operazione che, oltre a consentirne una migliore lettura, potrebbe aiutare a capire l’uso e la funzione della stanza. Accantonata la prima ipotesi di un edificio religioso, acquista terreno quella di un’aula privata dedicata al culto di divinità orientali, come sembra accreditare la presenza di simboli quali il loto (normalmente associato al culto della dea Iside), i cimbali (suonati nelle cerimonie religiose in onore della dea Cibele), l’edera e la vite (collegate al culto di Dioniso) e il lituo (attributo specifico dei sacerdoti e degli indovini).
Entro poche settimane terminerà il distacco del mosaico, operazione necessaria a preservarne l’integrità e consentirne la futura esposizione al pubblico.
Il complesso progetto di recupero avviato nel 2002 dal Comitato per il Restauro della Cattedrale di Santa Maria Assunta di Reggio Emilia ha consentito lo scorso novembre la riapertura ai fedeli di questo storico luogo di culto. I lavori di restauro hanno coinvolto direttamente il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, attraverso l’intervento di ben tre Soprintendenze di settore (Beni Archeologici, Beni Architettonici, Beni Artistici/Storici) che hanno operato in stretta collaborazione con la Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla e l’Ufficio Diocesano Beni Culturali, con il coordinamento della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna.
I lavori hanno fornito – e sono tuttora – una straordinaria opportunità d’indagine su una delle più antiche ed importanti chiese della città. Stanno inoltre aprendo una finestra sulla storia della città di Reggio Emilia prima della Cattedrale, fornendo nuovi importanti spunti di conoscenza di questo settore, centro della città fin dalla sua fondazione.
Le indagini archeologiche si sono svolte sotto la Direzione Scientifica di Renata Curina, archeologa della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, e sono state eseguite dalla Società Cooperativa ARS/Archeosistemi di Reggio Emilia e dalla Società ARAN Progetti di Genova. In un primo tempo gli scavi si sono svolti all’interno della cattedrale e, in particolare, nella navata centrale e nelle due laterali; dal 2007 le indagini hanno riguardato il sagrato e la cripta. Gli scavi all’interno della cripta -in corso di ultimazione- hanno interessato il transetto, l’abside centrale e la Cappella dei Caduti. Le indagini archeologiche hanno rimesso in luce le stratificazioni ancora conservate sotto la pavimentazione realizzata durante la ristrutturazione della cripta (1923), portando in evidenza strutture e pavimentazioni collegate sia alle varie fasi costruttive della cattedrale che a monumenti di epoca precedente. Di particolare interesse, i resti di un edificio absidato con pavimentazione in cocciopesto e quelli di un’abitazione quasi certamente di età longobarda.