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A Cersaie un dibattito inedito tra l’architetto italiano Cino Zucchi e il collega olandese Jacob Van Rijs

Luogo “privato” per antonomasia, contrapposto allo spazio pubblico, alla “pubblica piazza”, anche la casa sta vivendo, negli ultimi anni, profonde trasformazioni. Un cambiamento che ha toccato l’abitazione come concetto, prima ancora che come edificio. Con ovvie conseguenze dal punto di vista dell’approccio dell’architettura moderna al tema dell’edilizia abitativa.

Se ne dibatte a Cersaie, nell’ambito di un confronto inedito tra l’architetto italiano Cino Zucchi e Jacob Van Rijs, architetto a sua volta e membro del prestigioso studio olandese Mvrdv. A fare da moderatore, offrendo un ulteriore contributo alla discussione, il professor Fulvio Irace, architetto e docente al Polidesign, il Consorzio del Politecnico di Milano nato con l’obiettivo di fornire risposte innovative in termini di progetti e proposte in un contesto tecnologico, produttivo e professionale in continua evoluzione.

Titolo dell’incontro, che si terrà mercoledì 29 ottobre alle 11 alla Galleria dell’Architettura, “Social housing: micro e macro”. Un confronto che vedrà “contrapposte” due visioni del mondo, due modi di concepire quella che è l’ultima grande frontiera dell’edilizia abitativa, il social housing, dove il dogma di luogo privato in quanto distinto dal luogo pubblico, di sfera privata quale contrapposta alla sfera pubblica – riprendendo la celebre metafora di habermasiana memoria – diventa più sfumato e, in ultima istanza, obsoleto.

Da una parte l’approccio high density di Van Rijs, cofondatore dello studio Mvrdv e padre di opere grandiose, nei Paesi Bassi e in Spagna, nonché di imponenti complessi residenziali in India e Corea del sud. Un approccio in grado, da un lato, di recuperare le tipologie abitative tradizionali, in un rapporto con il passato e con la tradizione mai negato o messo in secondo piano; dall’altro, una “visione” che consente di offrire risposte d’avanguardia in contesti ad elevata densità di popolazione, riducendo al minimo indispensabile il consumo di suolo. Totalmente opposto, come si usa tra grandi maestri, l’atteggiamento di Zucchi. Docente di Progettazione architettonica e urbana, autore di edifici residenziali, commerciali, industriali, uffici, musei, spazi pubblici, Zucchi si è distinto anche per il proprio talento nel mettere nero su bianco master plan per il recupero di aree industriali e storiche. Un abitare basato su un idea di densità medio-bassa, partendo anche dall’evidenza per cui immense porzioni di costruito, attualmente e ancor di più in futuro, meritano di essere valorizzate, riqualificate, re-indirizzate verso nuovi usi più in linea con i moderni stili di vita.

Punto d’incontro, il social housing, e quella che ne è la più felice declinazione, il co-housing. Già diffusissimo in Nord-Europa, il co-housing ridisegna profondamente il concetto di abitazione, aumentando in modo considerevole gli spazi e i servizi collettivi: non solo portici o cortili, ma vere e proprie porzioni di edificio che diventano il fulcro della casa dei “cohousers”, dai locali di servizio a quelli per le feste o in cui dedicarsi agli hobby, dalla sala giochi dei bambini alle camere da letto per gli ospiti, addirittura la cucina. Un concetto innovativo che segue a importanti trasformazioni sociali, dal concetto stesso di intendere la famiglia alla rinnovata attenzione alla sostenibilità ambientale, anche considerati i vantaggi economici che inevitabilmente derivano dalla condivisione di spazi e servizi.

Termini presi in prestito dal linguaggio anglosassone, co e social housing, eppure riferibili, a vario titolo, al concetto più antico di “edilizia sociale”, quell’idea, già in voga da oltre un secolo, per cui la casa dovrebbe essere un diritto, da cui il compito della società – attori economici compresi – di operare affinché l’abitazione diventi accessibile anche a fasce di popolazione che, per i motivi più diversi, risultano emarginate.

Se si potesse riassumere un secolo e più di storia con poche parole, si potrebbe affermare come l’edilizia sociale si sia progressivamente trasformata, sotto ogni punto di vista, in edilizia “socievole”. Il punto – riassunto perfettamente dall’espressione inglese “social housing” – oggi non è tanto, o solo, offrire una casa a chi non se la può permettere, ma rispondere in modo diversificato a una domanda espressa dalla società a tutti i livelli – non solo dagli strati svantaggiati – e che si lega in modo inestricabile alle più generali trasformazioni che hanno coinvolto gli stili di vita e, per analogia, gli spazi urbani.

Anche di questo si parla a Cersaie, in un incontro che si tiene nella stessa giornata, sempre nell’ambito del ciclo “Costruire, abitare, pensare”. Il confronto, “Spazi urbani e migrazioni” – che avrà luogo mercoledì 29 ottobre alle 9.30 alla Galleria dell’Architettura – vedrà gli interventi di Claudio Baraldi, preside della facoltà di Lettere e filosofia all’Università di Modena. La parola quindi a Michael Keith, ordinario di sociologia all’Università di Oxford e direttore di Compas (Centre of Migration, Policy and Society). Infine Vittorio Iervese, che insegna Sociologia dei processi culturali e Teoria e metodi della promozione culturale all’Università di Modena e Reggio Emilia.

Interi quartieri che cambiano volto, nuovi cittadini che – lo si voglia o no – entrano a far parte del tessuto urbano, conferendo ad esso un’impronta nuova e indelebile. Nuovi edifici e quartieri, dunque, mentre le vecchie case, spesso gli stessi centri storici, si trasformano di pari passo con gli stili di vita degli abitanti. Mutevole per definizione, la città non è un mero insieme di abitazioni, ma anche il luogo dove si trovano gli spazi comuni, gli spazi di socialità, appunto.

Tra diversi approcci e prospettive, resta tuttavia una certezza: in un mondo in cui le nostre case saranno qualche cosa di diverso dal passato, in un mondo in cui, ad esempio, chi viaggia per lavoro, per turismo, chi vive un’esperienza di studio ma anche chi vuole farsi una famiglia, potrà disporre di nuove “case socievoli”, ci sarà sempre più bisogno di architettura, di professionisti dell’abitare disposti a misurarsi con queste nuove esigenze e offrendo di conseguenza risposte concrete e all’altezza delle aspettative.

















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