Dal punto di vista della forma, i linguaggi impiegati da Sebastiano Cantelli e Domenica Basile sono senz’altro antitetici. Da una parte la materia grumosa dell’Informale, dall’altra l’astrazione pura delle lettere dell’alfabeto. I loro risultati d’approdo però risultano sorprendentemente analoghi.
Sia Cantelli che Basile rappresentano il caos.
Sebastiano Cantelli attinge all’eredità di Poesia Visiva, che ha il proprio centro di gravità nella riflessione sul linguaggio dei media. Come molti grandi del movimento, Cantelli crea pattern di parole e lettere estrapolate dai quotidiani. Lacerti di notizie, indecifrabili, sovrapposti, indistinguibili gli uni dagli altri. Pubblicità del Dixan, corpi femminili in lingerie da burlesque, come peccati da lavare col bianco più bianco. Notizie velate da patine chiare o da spruzzi di colore, titoli sportivi, civette di edicole locali. Un’algida modella affiancata al logo della Valsoia e al simbolo del tao dei prodotti macrobiotici. Comici, dinosauri del rock ‘n’ roll. E poi strappi, colate vandaliche di colori a spray. Cantelli evidenzia la con-fusione del melting-pot mediatico, che cancella le informazioni dalla memoria proprio a causa della loro saturazione. Il messaggio linguistico (ovvero la parte più raffinata della pubblicità e dei media) non passa, si lacera, si confonde. Ciò che rimane sono i corpi canonici delle fashion models, con la loro perfezione che rende invisibili, e i marchi di prodotti come lo yogurt e il formaggio di soia. Le bistecche di seitan. I cornflakes dietetici.
Ovvero le concrezioni dei nuovi e nuovissimi culti igienici dell’ortoressia, per cui bisogna assimilare nutrimenti che procedono verso una rarefazione sempre più estrema del gusto e della possibilità di scelta.
Una pittura oscura, con riferimenti alla notte, ai fiumi dell’inferno, a bruciature e costrizioni. Domenica Basile dedica una serie pittorica ai vizi capitali.
La superbia, il primo peccato di Lucifero e di tutta la sua stirpe, che porta ad un cieco amore di se stessi.
L’ira, che rende schiavi di azioni incontrollate nel tentativo di riaffermare il proprio io. Difficilissima da incanalare propriamente, l’ira è velenosa, e viene rappresentata da Basile come una cagliatura di lividi grumi.
L’invidia, un itterico diagramma di malattia, si adopera per sminuire o danneggiare coloro con cui non reggiamo il confronto, ed è l’unico vizio che non da piacere. Peccato sconosciuto ai greci, l’invidia prolifera sotto i paradigmi egualitari di cristianesimo e democrazia.
La lussuria, ragnatela nera ed elegante, è il demone del desiderio che attira l’individuo là dove si parla tramite la semantica delle viscere. Un linguaggio pericoloso, per la sua immediatezza, la sua infallibilità, per il suo essere pieno di trappole ed enigmi.
La gola, rossa e bianca come carne cruda velata di grasso, è la connessione con la parte più ancestrale dell’uomo, ma anche la bulimia consumistica, la dipendenza da zuccheri e da quei piccoli momenti euforizzanti per riempire il vuoto.
L’avarizia, che l’artista raffigura densa di filamenti vischiosi, è la scelta dell’impotenza, la confusione fra mezzo e fine, l’elevazione del denaro a bene supremo.
L’accidia, bianca come il vuoto, lo spleen, la caduta di tutti i desideri e di tutte le speranze. L’accidia ribolle di schiuma come la superficie della palude Stigia, con i suoi dannati conficcati nel fango.
Un fango che sa di terra, di materia indifferenziata, che ricorre in quasi tutte le opere di Domenica Basile. Solcato da crepe, nervi, fenditure.
Quindi, se Cantelli rappresenta il caos epistemologico, quello degli stimoli e delle modalità della conoscenza, Basile rappresenta il caos endogeno delle pulsioni. In entrambi i casi, l’essere umano è come uno spettro, che si intravede ai margini della tempesta.
Luiza Samanda Turrini
“Duo” personale di Domenica Basile e Sebastiano Cantelli – Magazzini Criminali Sassuolo – dal 29/01 al 20/02/2011