Nelle affermazioni del governo Monti la modifica dell’articolo 18 non sarebbe una necessità dettata da motivazioni ideologiche, ma piuttosto un modo per semplificare i rapporti di lavoro, creare nuove opportunità e così attirare investitori stranieri: alla base di questo percorso virtuoso c’è un elemento fondamentale e cioè la riduzione del contenzioso.
Bene, così come è stato presentato non funziona. Ovviamente solo il testo redatto per articoli potrà chiarire dubbi e interrogativi che sorgono ad un primo esame della proposta di modifica della disciplina dei licenziamenti illegittimi. A mio avviso, però, si otterrà l’effetto contrario e cioè si moltiplicherà il contenzioso, aumenteranno numero e durata delle cause.
Il motivo è semplice: la disciplina dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non si riferisce al licenziamento in generale, ma al licenziamento che il lavoratore ritiene illegittimo e che, nella nuova disciplina, non riguarderà più soltanto la decisione su tale illegittimità, cui oggi consegue sempre il reintegro, ma potrà riguardare tre situazioni e in particolare il cosiddetto licenziamento economico che il lavoratore, al contrario del datore di lavoro, riterrà illegittimo; quindi il licenziamento dichiaratamente economico ma che il lavoratore riterrà, oltre che illegittimo, anche discriminatorio nella sostanza; e, infine, il licenziamento dichiaratamente economico ma che il lavoratore riterrà oltre che illegittimo, anche di natura disciplinare nella sostanza.
Contro la decisione di primo grado il lavoratore ed il datore di lavoro potranno proporre appello e poi ricorso in Cassazione per le decisioni che riterranno sfavorevoli.
Dopo la sentenza di primo grado alle suddette ipotesi si aggiungeranno anche quelle concernenti l’avvenuta condanna al reintegro, che sarà sempre impugnata dal datore di lavoro, e quella al risarcimento, che sarà sempre impugnata dal lavoratore che sosterrà la tesi del licenziamento disciplinare mascherato da economico, o ancora quella della necessità del reintegro e non del mero risarcimento per il licenziamento già riconosciuto come discriminatorio.
Insomma la norma verrebbe complicata, certo non semplifica, con la magistratura chiamata ad esprimersi non solo sulla legittimità o meno del licenziamento, ma anche su tutte le altre ipotesi formulate. Tutto questo vale lo scontro sociale che si sta preparando? Non sarebbe meglio evitare decisionismi esasperati rimettendo al tavolo le parti sociali, magari con un altro tavolo tecnico parallelo dove far confrontare chi poi dovrà gestire i contenziosi?
Di sicuro non avrebbe senso lo scontro sociale per un risultato comunque poco utile, tanto alle imprese quanto ai lavoratori. Basterebbe poco, ad esempio equiparare i trattamenti per i licenziamenti disciplinari e quelli economici, prevedendo la possibile opzione della magistratura tra reintegro e indennizzo. In questo modo ognuno lascerebbe sul tavolo qualcosa, ma in compenso si andrebbe alla costruzione di una norma più chiara e quindi effettivamente applicabile, ovviamente se questo è davvero l’obiettivo che ci si propone di raggiungere, senza barriere ideologiche ma anche senza la volontà di strappare uno “scalpo” politico.
Giorgio Pighi, Sindaco di Modena