Riforma “Fornero”: le pensioni in essere e future; cosa cambia, come cambieranno, quali sono i punti inaccettabili che occorre modificare. E’ il tema dell’ultimo incontro promosso dal direttivo aperto dell’Fnp Cisl di Reggio Emilia, presso l’auditorium Simonazzi di via Turri.
“La riforma fatta dai professori, senza il coinvolgimento dei sindacati – spiega Loris Cavalletti, segretario dell’Fnp Cisl di Reggio Emilia – ha prodotto vistose ingiustizie, oltre che avere colpito duramente le donne, i cinquantenni e i giovani. L’ingiustizia più grande riguarda chi aveva accettato di uscire dalle aziende per arrivare alla pensione, con vecchie norme che utilizzavano gli ammortizzatori sociali. Oggi per effetto delle nuove norme, per alcuni anni non avranno né pensione né salario”.
“I pensionati di Reggio Emilia – ha proseguito Loris Cavalletti – non intendono dare per definitiva questa riforma, daremo battaglia per cambiare i punti più pesanti. Un primo appuntamento di lotta e protesta unitaria è fissata a Roma per il 13 aprile. I pensionati pagano questa riforma con il mancato adeguamento delle pensioni oltre i 1.400 euro lordi per gli anni 2012 e 2013, in una situazione dove i prezzi aumentano spaventosamente. Aumentano anche le tasse a partire dall’Imu e le addizionali: purtroppo anche a livello locale non ci ascoltano e i Comuni fanno di testa propria. Sono questi punti su cui combattere una battaglia vera, non tanto giocare tutto sull’articolo 18 che rischia di isolare una parte del mondo sindacale. I governi a Roma come a Reggio ascoltino i sindacati: negli anni scorsi abbiamo fatto riforme profonde che ci hanno portato in Europa salvaguardando la coesione sociale. Le risorse ci sono se si fa una battaglia vera sul fisco e tassando i grandi patrimoni. Con quale coraggio si può dire no alla patrimoniale sui grandi capitali e poi applicarla sui patrimoni del ceto medio basso, come si è fatto con l’Imu?”
E ad entrare nel vivo Lorenzo Bonini, direttore del Patronato Inas Cisl di Reggio Emilia. “La riforma delle pensioni prevista dalla legge 214 del 2011 ha colpito forte tutti gli aspetti della previdenza – ha esordito – toccando pensionati e pensionandi ma anche le nuove generazioni. La riforma Monti dal 1 gennaio del 2012 introduce la riforma del calcolo delle pensioni con un sistema contributivo. In passato, invece, venivano calcolate col sistema retributivo (la pensione era commisurata alle ultime retribuzioni a fine carriera) e, per alcuni, col sistema contributivo (introdotto dalla riforma Dini del 1995 che prevede, invece, che la pensione sia commisurata al montante di contributi versati nell’intera carriera lavorativa). Chi al 31 12 del 1995 aveva 18 anni di contributi avrebbe proseguito col sistema retributivo, chi non li aveva avrebbe iniziato con il sistema misto e chi iniziava a lavorare dopo avrebbe avuto il sistema contributivo secco. La riforma Monti introduce il sistema contributivo per tutti dal primo gennaio 2012, pur salvaguardando i diritti del sistema retributivo antecedenti quella data. Questo è un appuntamento che non potevamo eludere perché è dimostrato che il sistema retributivo era storicamente insostenibile e rischiava di non garantire le pensioni per le nuove generazioni. Il sistema retributivo è sicuramente migliore in termini economici, ma appunto insostenibile.
Ed ecco che, in attesa delle circolari applicative dei vari istituti di previdenza (“che a volte stravolgono le cose”) si notano alcuni inasprimenti.
“Dal 1° gennaio 2012 abbiamo solo due possibilità di pensione: a) pensione di vecchiaia (con un minimo di contributi); la pensione anticipata (rispetto al limite d’età). Tra Le pensioni di vecchiaia, per i dipendenti (Inps, con almeno 20 anni di contributi): le donne ora vanno in pensione più tardi. Dal 2012 a 62 anni, dal 2014 a 63 anni e sei mesi e così via… Sino al 2021 per cui tutti andranno in pensione a 67 anni se le aspettative di vita saranno mantenute. Per quanto riguarda la pensione di vecchiaia: non va meglio alle donne autonome, che dal 2012 andranno in pensione solo a 63 anni e 6 mesi d’età (minimo sempre con 20 anni di contributi), dal 2014 con 64 anni e 6 mesi d’età,… Ma la situazione peggiore la si ha per le pensioni di vecchiaia di uomini e donne del pubblico impiego che andranno in pensione dal 2012 a 66 anni (20 anni di contributi)”.
“Per la pensione anticipata (che prescinde dall’età anagrafica, ma richiede almeno oltre 40 anni contributi) si incrociano la riforma Monti e la manovra di agosto del governo Berlusconi. Aggiungono di 1 anno di contributi per le donne e 2 per gli uomini (si sale a 41 e un mese e 42 anni e un mese di contributi). Dal 2013 gli anni di contributi saranno 41 e 5 mesi per le donne e 42 anni e 5 mesi per gli uomini. Un mese in più l’anno successivo. Nella pensione anticipata, purtroppo, è stata contemplata una decurtazione per chi non ha almeno 62 anni ma sarà applicata solo dopo il 2017.
Tutti coloro che hanno maturato i requisti ante riforma Monti entro il 31 dicembre del 21011 hanno salvaguardato i loro diritti, mantengono i requisiti vecchi, ma devono andare in pensione con le vecchie normative”.
Nel corso della giornata si è anche ricordato che in fatto di ricongiungimenti ogni trasferimento da ente ad ente ora è oneroso (in passato vi erano anche trasferimenti gratuiti), cos come “le aspettative di vita – ha lamentato Cavalletti – non tiene conto dei lavori usuranti o delle aree geografiche”. Ancora: in Europa la riforma Monti – Fornero ha portato l’Italia ad essere la più competitiva, “più realisti del Re”. L’incontro è proseguito con Gabriele Prampolini dell’Adiconsum che ha illustrato il progetto “Facile & sicuro”, relativo all’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronici, in stretta connessione con le nuove norme che hanno posto limiti all’utilizzo del contante. Una iniziativa che Adiconsum svolge in collaborazione con Cittadinanza Attiva e il Gruppo Unicredit Banca.