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Bologna, il rischio da stress-lavoro nelle aziende pubbliche e private della provincia: presenta la ricerca

Sono stati illustrati questa mattina a palazzo Malvezzi i risultati della ricerca sulle modalità di valutazione del rischio da stress-lavoro all’interno delle aziende pubbliche e private del territorio provinciale, realizzata secondo un progetto promosso e sostenuto dalla Provincia di Bologna con il coordinamento tecnico dell’ente di formazione professionale Futura SpA. Partner fondamentali per la sua realizzazione sono stati l’INAIL di Bologna, l’Azienda USL di Bologna e di Imola, l’Università degli studi di Bologna (Facoltà di Medicina del Lavoro), le organizzazioni sindacali e le associazioni di categoria (in particolare tutte le aderenti all’Osservatorio per la Prevenzione).

Presentando la ricerca, l’assessore provinciale al Lavoro Giuseppe De Biasi, ha precisato che “sono state coinvolte 13 aziende pubbliche (per un totale di 34.800 addetti) e 144 private (di cui 98 appartenenti al settore manifatturiero) con l’intento di monitorare le modalità e lo stato di avanzamento delle imprese del territorio nel compito di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato – a fronte del disposto normativo che ne ha introdotto l’obbligo – individuando anche le principali difficoltà che incontrano nello svolgimento”.

La tematica dello stress lavoro-correlato è vissuta in modo molto differente dalle figure rappresentative prese a riferimento, i RLS (Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza),e i RSPP (Responsabili del servizio prevenzione e protezione), inoltre si è spesso rilevato che i RLS risultano formalmente coinvolti, ma in realtà senza partecipazione effettiva.

Secondo il report, sia i RSPP che i RLS, in genere percepiscono come fattore stressante l’invecchiamento dei lavoratori a scapito delle fasce più giovani, fenomeno che, anche alla luce dei recenti interventi in campo pensionistico, aumenterà certo in termini sia quantitativi che di importanza; segue il problema del turn-over: sia in caso di mancata applicazione che comporta un aumento dei carichi di lavoro, sia in caso di un processo troppo veloce e variabile, per cui non si riesce a inserire in modo efficace nell’organizzazione il nuovo entrato che, non di rado, dopo breve viene ulteriormente sostituito; in terzo luogo, la criticità dei turni, specie notturni e festivi.

I reparti a maggior rischio nel mondo della sanità sono l’emergenza, le chirurgie, le oncologie, le geriatrie e le ortopedie. Nelle altre aziende pubbliche sono le attività di call center, gli sportelli al pubblico, quelle della polizia municipale, dei conducenti di autobus e verificatori dei titoli di viaggio, dei servizi sociali, degli asili nido, della protezione civile e della security.

La maggior parte delle aziende coinvolte ha affrontato con metodi ed approcci differenti il problema dello stress lavoro-correlato. In molte il percorso è solo alle fasi iniziali, mentre altre hanno già individuato e realizzato le misure correttive per controllare e migliorare la situazione.

Elemento di grande importanza viene considerata la partecipazione dei lavoratori. Come ha sottolineato De Biasi, “la lettura dell’organizzazione del lavoro e delle dinamiche interpersonali non può essere fatta da soli osservatori esterni, né dalla sola visione del datore di lavoro; il contributo dei lavoratori aiuta a rappresentare la realtà delle condizioni lavorative, sia nel ricostruire gli aspetti organizzativi, sia nel fornire le percezioni che ognuno ha del proprio vissuto rispetto all’organizzazione stessa. Sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori lo stress lavoro-correlato è oggetto di preoccupazione, vi è quindi un interesse comune ad affrontare la tematica da cui deriva l’importanza di un’azione il più possibile condivisa da tutte le parti. “Eliminare o contenere i fattori stressogeni lavorativi comporta benefici per la salute dei lavoratori, ma certamente anche vantaggi economici e sociali per tutti – ha concluso l’Assessore – agire a favore della sicurezza fa bene dunque sia alla produttività delle imprese che alla qualità dell’occupazione”.

 

















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