Francesco Ripa di Meana, direttore generale dell’Azienda Usl di Bologna, ha firmato questa mattina la lettera di autorizzazione alla liquidazione dell’anticipo per le spese che la famiglia del giovane Tommaso Tori sosterrà per il ricovero negli Stati Uniti.
L’anticipo, di 250 mila euro, corrisponde, come previsto dalle norme ministeriali che disciplinano con criteri ben definiti i ricoveri all’estero in centri ospedalieri di altissima specializzazione, al 70% del rimborso prevedibile sulla base del preventivo presentato dalla famiglia. Alla conclusione del ricovero l’Azienda provvederà alla liquidazione delle eventuali spese aggiuntive rimborsando, come da normativa vigente, sino all’80% del costo del ricovero.
L’Azienda, che ha ricevuto il 17 giugno la domanda di anticipo delle spese da parte della famiglia, completata nella giornata di ieri con il parere del Centro Regionale di riferimento, ha proceduto con la massima sollecitudine al completamento dell’iter autorizzativo applicando le norme che regolamentano l’assistenza ospedaliera in Centri di altissima specializzazione all’estero, con oneri a carico del Servizio sanitario, per prestazioni che richiedano procedure non ottenibili presso i presidi o i servizi italiani. Come previsto dalle stesse norme, il riconoscimento della necessità di ricorrere a questo genere di assistenza è affidato al parere preventivo del Centro Regionale di riferimento competente per la specifica patologia, che in questo caso è il Centro di Ematologia del Policlinico di S. Orsola-Malpighi.
“La malattia che ha colpito il paziente aveva sin dalla diagnosi – spiega Michele Cavo, direttore dell’Ematologia del Policlinico di Sant’Orsola – caratteristiche cliniche e biologiche legate ad un andamento sfavorevole.
Il primo ciclo di terapia, solitamente efficace nel 70-80% dei casi, è risultato inefficace. Il paziente, d’accordo con i familiari, è entrato nella sperimentazione che il Sant’Orsola – insieme ad altri 5 centri in Italia – sta conducendo su un nuovo farmaco, un anticorpo monoclonale, tra i più promettenti in caso di resistenza alle terapie convenzionali. Anche questa opzione non ha dato purtroppo alcun risultato.
La famiglia aveva, nel frattempo, preso contatto con il centro di Philadelphia che sta sperimentando una immunoterapia genica contro queste forme di patologia refrattarie a tutte le cure disponibili e che – pur con gli assoluti limiti numerici della popolazione trattata – in alcuni casi ha portato alla remissione completa.
L’unica alternativa alla terapia statunitense era il trapianto allogenico, che presenta però nel caso di questo paziente un alto rischio di insuccesso – non essendo stato possibile ottenere una risposta favorevole della malattia, come invece solitamente deve accadere prima di procedere al trapianto.
Per questo motivo, d’accordo con la famiglia, si è deciso di procedere al programma di immunoterapia sperimentale proposto dal centro di Philadelphia, riservando il trapianto allogenico quale possibile futura opzione terapeutica”.