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Il primo branco di dinosauri italiano

Un esemplare adulto di Tethyshadros insularis (Credits Davide Bonadonna)

C’è un branco di dinosauri in Italia. Numerosi scheletri in perfetto stato di conservazione sono stati ritrovati nel sito di Villaggio del Pescatore, comune di Duino-Aurisina, a pochi chilometri da Trieste. La scoperta è stata riportata da un gruppo internazionale di ricerca coordinato da studiosi dell’Università di Bologna in un articolo pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature.

 

Gli straordinari scheletri venuti alla luce appartengono alla specie Tethyshadros insularis: si tratta di almeno sette esemplari (ma probabilmente sono undici), tra cui in particolare un nuovo dinosauro, soprannominato “Bruno”, che rappresenta il più grande dinosauro mai rinvenuto in Italia.

Nello stesso sito sono stati inoltre ritrovati pesci, coccodrilli, rettili marini e persino piccoli crostacei: tutti elementi che hanno permesso di ricostruire una vivida immagine di questo antico ecosistema senza eguali al mondo. I reperti rinvenuti al Villaggio del Pescatore possono essere oggi ammirati al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, concessi in deposito da parte del Ministero della Cultura.

“Per la prima volta abbiamo in Italia un giacimento di dinosauri, in cui non solo troviamo i resti di questi animali, che sembrano appartenere a mondi lontani da noi, ma ne troviamo tanti, insieme agli animali che con loro condividevano quel mondo perduto”, dice Federico Fanti, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, che ha coordinato lo studio. “Questo sito eccezionale è un luogo dove dal terreno possiamo, e lo stiamo facendo, estrarre tanti scheletri di dinosauri, uno più spettacolare dell’altro; e questa è la prima volta in cui sappiamo esattamente dove continuare a scavarli”.

 

DINOSAURI NEL MEDITERRANEO

Prima di oggi solo un altro esemplare era venuto alla luce nel sito del Villaggio del Pescatore, nei primi anni ’90: un piccolo dinosauro, soprannominato “Antonio”, le cui dimensioni ridotte avevano fatto ipotizzare che Tethyshadros insularis potesse essere una specie “nana”. Ora, la scoperta di Bruno – più grande e con proporzioni più massicce – dimostra che Antonio fosse semplicemente un individuo giovane. Anzi, le strutture ossee analizzate al microscopio dai ricercatori mostrano che Bruno potesse ancora crescere al momento della morte.

Oltre a tutto questo, nuovi dati geologici emersi dall’analisi del sito hanno portato a ridefinire l’età di questi dinosauri, che risalirebbero a 80 milioni di anni fa: 10 milioni di anni più antichi di quanto si era ipotizzato inizialmente.

“Questi nuovi scheletri ci permettono di capire meglio la storia evolutiva di un gruppo di dinosauri chiamati hadrosauriformi: i dinosauri a becco d’anatra a cui appartengono Bruno e Antonio”, spiega Alfio Alessandro Chiarenza, dell’Università di Vigo (Spagna), primo autore dello studio. “Siamo riusciti a ricostruire come questi dinosauri siano arrivati fino nel cuore dell’attuale Mediterraneo durante il periodo Cretaceo, circa 80 milioni di anni fa: se un tempo di pensava ad un mondo fatto solo di piccole isole tropicali, poco ospitali per i grandi dinosauri, nuovi dati dimostrano come ampie terre emerse connesse con Asia ed Europa occidentale permettessero ad animali come quelli del Villaggio del Pescatore di sopravvivere e, cosa ancora più importante, di fossilizzarsi giungendo intatti fino ai giorni nostri”.

Lo scheletro di “Bruno” (Credits P. Ferrieri)

DA “ANTONIO” A “BRUNO”

Al tempo dei dinosauri, fra 230 e 66 milioni di anni fa, l’area occupata oggi dal Mar Mediterraneo sarebbe stata difficile da tracciare in una mappa: un insieme di piccole isole lontane dalle grandi masse continentali europee, africane e asiatiche, e di conseguenza un luogo davvero poco adatto ad ospitare grandi branchi di questi animali. Non a caso, per lungo tempo i geologi hanno considerato l’area che oggi è il Villaggio del Pescatore come un’isola situata nel mezzo di un antico oceano chiamato Tetide.

Il sito di Villaggio del Pescatore salì per la prima volta alla ribalta alla fine degli anni ’80, quando due appassionati di geologia, i signori Alceo Tarlao e Giorgio Rimoli, si imbatterono in qualcosa di inaspettato: resti fossilizzati di ossa. Qualche anno più tardi poi, nel 1994, una studentessa di geologia, Tiziana Brazzatti, durante un sopralluogo nella cava, scoprì quello che sarà successivamente identificato come il primo scheletro completo del sito.

Le indagini che seguirono la scoperta svelarono in fretta di chi fossero queste ossa, ma la caccia al dinosauro si rivelò particolarmente complicata, con lame diamantate, ruspe e bulldozer per estrarre gli enormi blocchi di dura roccia calcarea che preservavano i resti. E i problemi continuarono anche in seguito: per svelare i reperti fossilizzati, le grandi rocce dovettero infatti affrontare lunghi bagni nell’acido. È solo a questo punto che affiorò Antonio: un dinosauro a becco d’anatra, lungo quasi cinque metri, perfettamente preservato. Il primo esemplare di Tethyshadros insularis.

 

UN DINOSAURO ADULTO

La datazione del reperto inizialmente fissata a 70 milioni di anni fa, le dimensioni relativamente ridotte del dinosauro e il fatto che il Villaggio del Pescatore in quell’epoca lontana fosse un’isola in mezzo all’oceano, fece ipotizzare che Antonio appartenesse a una specie “nana”, adattata per sopravvivere alle scarse risorse ambientali delle piccole isole. La scoperta ora di altri esemplari, e in particolare di Bruno – più grande e con proporzioni più massicce di Antonio – ha portato però gli studiosi a rivedere questa ipotesi.

“Bruno appartiene alla stessa specie di Antonio, anche se è più grande e massiccio: il motivo è semplice, non hanno la stessa età”, spiega Fanti. “Bruno è più grande, adulto, di Antonio, e proprio come in qualsiasi specie che conosciamo oggi ha un aspetto diverso proprio a causa della sua età: insieme, questi due animali, ci mostrano un aspetto molto raro da vedere nei dinosauri, ovvero come cambiavano mano a mano che crescevano”.

Dalla nuova datazione, che fa risalire i dinosauri ritrovati a 80 milioni di anni fa, inoltre si può infatti dedurre che a quell’epoca l’area del Villaggio del Pescatore non fosse un’isola, ma una terra che si affacciava sull’oceano della Tetide ed era connessa con l’Europa occidentale e con l’Asia: ampie zone emerse che rappresentavano vie migratorie per i grandi animali terrestri come i dinosauri.

“Il sito del Villaggio del Pescatore rappresenta un’occasione unica per far conoscere i dinosauri agli italiani, per far capire come la paleontologia e la geologia facciano parte del nostro patrimonio culturale”, dice Fanti in conclusione. “Rappresenta allo stesso tempo un traguardo e un punto di partenza per capire la storia dei dinosauri e di tutta l’area mediterranea di milioni di anni fa”.

 

I PROTAGONISTI DELLO STUDIO

Lo studio è stato pubblicato sull rivista Scientific Reports con il titolo “An Italian dinosaur Lagerstätte reveals the tempo and mode of hadrosauriform body size evolution”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Federico Fanti e Marco Muscioni del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali. Hanno partecipato inoltre studiosi dell’Università di Vigo (Spagna), del Field Museum of Natural History di Chicago (Stati Uniti), dell’Università di Trieste, dell’Università di Toronto (Canada) e dell’Università di Alcalá (Spagna).

















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