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La crisi climatica minaccia la presenza umana nei delta fluviali

Dal Nilo al Po, passando per la Mesopotamia, la crescita naturale dei delta fluviali ha accompagnato per millenni i progressi dell’umanità nelle regioni del Mediterraneo e in Asia. Questi ambienti sono però oggi minacciati dalla crisi climatica: se non si adotteranno strategie di mitigazione efficaci e misure definitive per la riduzione delle emissioni, i sistemi deltizi rischiano di diventare terre inospitali, tanto da rendere impossibile la presenza umana.

A lanciare l’allarme è un articolo di review pubblicato su Nature Sustainability e realizzato da un gruppo internazionale di studiosi degli ambienti costieri, tra cui due italiani: Alessandro Amorosi dell’Università di Bologna e Vittorio Maselli dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Il lavoro ripercorre il ruolo fondamentale che i delta fluviali hanno avuto per lo sviluppo socioeconomico dell’umanità negli ultimi 7.000 anni e ammonisce sulle tragiche conseguenze che la crisi climatica potrà determinare sull’evoluzione futura di aree così fragili e complesse.

“Nel corso dei millenni, i delta hanno stimolato innovazioni nella gestione delle acque, nel controllo della subsidenza e nella mitigazione dell’erosione, creando una profonda interdipendenza socio-ecologica tra la civiltà umana e l’evoluzione di questi ambienti”, spiega Alessandro Amorosi, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna. “L’aumento della pressione antropica e dell’uso del suolo nelle aree costiere nel corso degli ultimi decenni, connesso alla crescita esponenziale della popolazione e allo sviluppo in molte di queste regioni di vere e proprie megalopoli, ha tuttavia reso i delta sempre più vulnerabili, ponendo una seria minaccia alla loro sopravvivenza”.

Un fenomeno, questo, che interessa anche l’Italia, prima di tutto con il Delta del Po. Qui il riscaldamento globale ha provocato un duplice effetto: da un lato, la diminuzione delle precipitazioni e l’aumento delle temperature sta riducendo l’apporto di acqua dolce, con conseguenze critiche sulla disponibilità idrica per l’agricoltura e per l’approvvigionamento urbano; dall’altro, l’innalzamento del livello del mare e la riduzione delle portate idriche facilita l’intrusione di acqua marina, rendendo i terreni sempre meno produttivi, con impatti devastanti sull’agricoltura e sulla biodiversità.

Cosa si può fare per affrontare questi problemi? Gli studiosi sottolineano come in assenza di una stabilizzazione climatica, sarà estremamente difficile preservare i sistemi deltizi e gli ecosistemi ad essi associati: senza misure per la riduzione delle emissioni e strategie di mitigazione, il futuro delle aree soggette a progressiva sommersione potrà essere caratterizzato dall’abbandono delle terre e da migrazioni di popoli su larga scala verso regioni più ospitali, nell’entroterra.

“In scenari di estremo innalzamento del livello del mare, i delta rischiano di finire progressivamente sommersi, rendendo insostenibile lo stesso sviluppo economico e addirittura impossibile la presenza umana in queste aree: in alcuni delta come ad esempio quello del Mississippi, questo paesaggio è già una realtà ineluttabile”, conferma Amorosi. “Il rischio è quello di vedere la fine della millenaria interazione tra società umane e ambienti deltizi, compromettendo irreversibilmente i benefici ecosistemici e socio-economici che questi territori hanno storicamente offerto all’umanità”.

Lo studio è stato pubblicato su Nature Sustainability con il titolo “Delta sustainability from the Holocene to the Anthropocene and envisioning the future”. Per l’Università di Bologna ha partecipato Alessandro Amorosi, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali.

 

















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