
E’ stata presentata oggi, 19 marzo, la seconda edizione del Bilancio di Genere dell’Azienda USL di Modena, uno strumento strategico che evidenzia le dinamiche organizzative interne e le sfide nell’ambito dell’equità di genere, sia sul fronte della distribuzione del personale che nella progressione di carriera.
Il rapporto conferma una marcata femminilizzazione dell’organico, con il 74% delle risorse occupate da donne, dato in lieve aumento rispetto all’anno precedente e comunque in linea con il settore sanitario. Le fasce di età maggiormente rappresentate da donne in Azienda sono quelle tra i 50 e i 60 anni; sono i ruoli tecnici, amministrativi e infermieristici a registrare le più alte percentuali di presenza femminile, tutti intorno all’80%.
Tuttavia, nelle posizioni dirigenziali permangono disparità: se nelle Strutture Semplici le donne costituiscono il 64% (71 su 111), in quelle Complesse sono solo il 35% (28 su 79). Il Confronto con l’anno precedente evidenzia però un aumento degli incarichi femminili di struttura complessa che erano 31,25%.
Il Bilancio analizza anche il gender pay gap, il divario tra retribuzioni che, seppur inferiore rispetto al settore privato, si manifesta purtroppo in modo particolare nelle posizioni apicali. Occorre però sottolineare che tale differenziazione, più che interna all’Azienda, è il risultato di dinamiche pre-mercato e di scelte formative e professionali che penalizzano la carriera femminile lungo il suo corso; incide inoltre il disequilibrio vita/lavoro per cui le assenze per maternità e cura di familiari non sono riequilibrate dagli istituti di conciliazione previsti (maternità, congedi parentali, part time, smart working e permessi L104) nonostante l’ampio ricorso all’uso da parte femminile rispetto ai colleghi uomini. Il divario retributivo risulta però mitigato dalla graduale riduzione della differenza tra uomini e donne del numero di macrostrutture occupate e dalla riduzione dei tempi di permanenza nel profilo prima di raggiungere l’incarico superiore.
Gli istituti classici a favore della conciliazione vita/lavoro come lo smart working, il part time, il congedo parentale e i permessi ex legge 104/92 ma anche la maternità e paternità o il ricorso allo straordinario, indicano una maggiore fruizione di questi istituti da parte delle donne e nel complesso sono ampiamente utilizzati, compreso il congedo parentale per i padri, a differenza del settore privato dove viene facilmente ostacolato. Emerge inoltre che le fasce di età sotto i 40 anni e maggiori di 60 anni usufruiscono maggiormente del part time, anche involontario, in relazione al proprio ruolo di cura rispettivamente dei figli o dei familiari anziani.
Questa edizione del Bilancio ha ampliato l’indagine inserendo anche indicatori relativi al benessere lavorativo e/o organizzativo come le assenze e interruzioni del rapporto di lavoro che possono essere segnali di “disagio” lavorativo. Vi è, in azienda, un sostanziale equilibrio di genere nei recessi volontari e nelle mobilità in uscita del rapporto di lavoro, che rappresentano la percentuale più alta rispetto ad altre cause. Il lieve incremento degli ultimi anni rispecchia una certa “spinta” al pensionamento, per un quadro legislativo incerto che viene percepito come penalizzante.
L’analisi sulla popolazione modenese: salute, accesso alle cure, diagnostica
E’ questa la principale parte evolutiva del Bilancio di Genere rispetto all’anno precedente: da un solo dipartimento l’analisi si è estesa a tutta la “produzione” di servizi AUSL, partendo dall’indagine epidemiologica e dagli stili di vita, si arriva a toccare tutta la specialistica e il laboratorio, i dipartimenti ospedalieri e il territorio (Salute Mentale, Sanità Pubblica, Anziani nelle CRA e servizi Domiciliari, Case della Comunità, Screening, Salute Donna, Carceri, e Pronto Soccorso per accessi delle Donne vittima di violenza).
Dalle analisi effettuate si evince che in Provincia la presenza femminile è maggiore, in termini di ricoveri, in reparti quali l’ortopedia, per fratture spontanee e traumi da osteoporosi, e la lungodegenza data l’aspettativa di vita maggiore; prevalgono i trattamenti riabilitativi a cui si sottopone più frequentemente e le terapie del dolore, riconducibili alle malattie reumatologiche. La donna è invece meno affetta da malattie di ambito cardiologico, trattamenti psichiatrici ospedalieri e malattie polmonari. Tali differenze di genere trovano riscontro con gli studi della medicina di genere e possono fornire uno strumento per migliorare l’offerta dei servizi sanitari anche a partire dalla differenziazione dei bisogni.
Rispetto alla salute mentale, minima è l’incidenza dei “disturbi mentali e comportamentali da uso di sostanze psicoattive” – dato che si riscontra anche nelle dipendenze patologiche per quanto riguarda l’abuso di sostanze, dove le donne in carico sono solo il 20% del totale – mentre sono più presenti nelle donne i disturbi dell’umore e affettivi, al primo posto come incidenza sul totale delle patologie. Incide nella differenza tra maschi e femmine la maggior propensione a farsi curare delle donne, il cui disturbo è mal tollerato socialmente (al lavoro, in famiglia e nella vita sociale) e che subiscono maggiormente lo stigma. Da sottolineare che l’età nei disturbi alimentari si sta abbassando e riguarda anche il genere maschile.
Anche l’attività di diagnostica conferma tendenzialmente i dati di letteratura ed epidemiologici che vedono maggiormente a carico femminile le prestazioni di allergologia, angiologia, endocrinologia, geriatria, reumatologia, neurologia, anestesia e radiologia.
Si evidenzia infine la netta prevalenza femminile nelle residenze e centri diurni per anziani in linea con i dati epidemiologici: speranza di vita e condizioni socio economiche che vedono la donna più frequentemente sola e meno sostenuta da caregiver familiari.
Il documento, arricchito da una serie di proposte e Azioni Positive, delinea interventi mirati per:
- Promuovere programmi di formazione e accompagnamento finalizzati a superare gli stereotipi di genere;
- Sviluppare corsi di autodifesa “gender oriented” e iniziative per rafforzare il benessere organizzativo;
- Potenziare politiche di conciliazione e flessibilità, studiando modalità di lavoro a distanza e part-time che possano rispondere alle esigenze di caregiver e lavoratrici;
- Incentivare l’accesso alle posizioni apicali e ridurre il gender pay gap attraverso trasparenza e criteri di valutazione condivisi.
“Il Bilancio di Genere rappresenta un fondamentale punto di partenza per riconoscere sia i progressi compiuti che le criticità ancora presenti all’interno della nostra organizzazione. Tutte le volte che non è possibile mettere insieme vita professionale e vita famigliare si producono delle ‘storture’ su cui dobbiamo assolutamente intervenire – dichiara il DG Ausl Mattia Altini –. Questo importante lavoro di ‘diagnosi’ della struttura organizzativa e aziendale in temi di bilancio di genere, ci aiuterà a mettere in atto una ‘terapia organizzativa’ per rendere possibile lavorare meglio e conciliare il lavoro con il resto della vita. Siamo determinati a garantire un ambiente di lavoro equo, dove ogni risorsa possa valorizzare il proprio talento senza barriere legate al genere”.
Milena Casalini, responsabile del Bilancio di genere e Presidente del Comitato Unico di Garanzia, aggiunge che “attraverso questo strumento di analisi, abbiamo potuto identificare le aree in cui intervenire concretamente in Azienda. Il nostro impegno è quello di proseguire con forza in politiche di conciliazione e percorsi di crescita professionale che favoriscano una rappresentanza più equilibrata nei ruoli decisionali e apicali”.
L’Azienda USL di Modena ribadisce così il proprio impegno verso l’innovazione e l’equità, adottando un approccio integrato che coinvolge tutte le componenti organizzative. Il Bilancio di Genere, con i suoi dati dettagliati e le proposte di azioni positive, diventa uno strumento imprescindibile per promuovere il benessere, la trasparenza e la valorizzazione delle competenze, ponendo le basi per un futuro di crescita inclusiva e sostenibile nella sanità pubblica.
Il Bilancio di Genere: cos’è e a cosa serve
È da intendere non come un documento, ma come un processo di analisi, progettazione e rendicontazione della realtà aziendale (dimensione interna ed esterna) secondo una prospettiva di genere, con valutazione dell’impatto delle politiche e degli impegni economico-finanziari. La scelta di un’analisi di tipo Auditing sul consuntivo 2023 consente di disporre di dati definitivi sulla base dei quali valutare l’attività che è stata condotta e riorientare le azioni future. È questa la caratteristica distintiva del Bilancio di Genere dell’Ausl, che consente la ri-programmazione delle Azioni Positive possibili. Non è un “voto” all’azienda ma un accurato strumento per:
“leggere” l’organizzazione lavorativa per misurare il “Gender Gap” nelle sue diverse manifestazioni
“riorientare” le strategie e/o azioni finalizzate a contrastare il divario di genere ma anche quei disagi lavorativi che favoriscono la microconflittualità e riducono la fiducia, applicando un sistema di “Diagnosi aziendale” basata sul “Check-up organizzativo”
“individuare indicatori” di performance socio sanitaria inserendo il “genere” quale categoria rilevante per l’equità e l’appropriatezza delle prestazioni, secondo gli orientamenti della medicina di genere
Indirettamente, infine il BG agisce sulla sostenibilità sociale, terzo pilastro (assieme a quella economica e ambientale) su cui si basa lo sviluppo della comunità in termini di equità, diritti, parità di genere e coesione.