I Finanzieri del Comando Provinciale di Bologna hanno individuato e disarticolato uno strutturato sistema evasivo realizzato da 3 imprenditori cinesi operanti nelle province di Bologna e Firenze che, avvalendosi di svariati “prestanome” e del contributo qualificato di professionisti bolognesi hanno amministrato di fatto 7 imprese, riconducibili al noto fenomeno delle partite IVA “apri e chiudi”. Tale fenomenologia criminosa è attuata perlopiù da società, operanti per brevi lassi temporali (generalmente non superiore a due anni) nel corso dei quali non assolvono agli obblighi fiscali, per poi essere sostituite, senza soluzione di continuità, da altre analoghe imprese, sempre intestate a prestanome . E’ stato accertato che tali imprese, nel corso degli anni, hanno commesso plurimi reati tributari e di riciclaggio, realizzando un profitto quantificabile in circa 14 milioni di euro.
Più in dettaglio, partendo da un’attenta analisi del contesto territoriale bolognese gli investigatori del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria hanno individuato una rete di imprese, tutte amministrate da cittadini cinesi (alcuni dei quali risultati irreperibili, soggetti nullatenenti o lavoratori dipendenti di altre imprese cinesi), che benché eseguissero redditizie prestazioni di confezionamento di capi di abbigliamento per conto di note società italiane operanti nel distretto dell’alta moda tra le province di Bologna e Firenze, non effettuavano alcun versamento di imposte e di contributi previdenziali, omettendo il più delle volte di presentare direttamente le dichiarazioni fiscali.
I successivi approfondimenti hanno portato alla luce come il complesso meccanismo evasivo si articolasse su più livelli e contemplasse anche più pericolose condotte di autoriciclaggio, necessarie ai tre imprenditori cinesi per ostacolare l’accertamento dell’origine illecita delle somme di denaro provenienti dai reati di omessa dichiarazione, dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Il denaro così ripulito poteva essere reimpiegato in attività economiche, finanziarie e imprenditoriali.
In particolare le imprese cinesi, dopo aver eseguito i lavori per conto delle note società italiane operanti nel distretto della moda e aver incassato i pagamenti a fronte delle fatture emesse, provvedevano ad abbattere i ricavi (quindi il carico fiscale) grazie all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per circa 6 milioni di euro: queste fatture venivano emesse da 4 società, formalmente intestate sempre a prestanome di origine cinese e rivelatesi delle vere e proprie “cartiere”, vale a dire imprese di fatto inoperanti, il cui unico scopo era quello di generare documenti fiscali utili a consentire la deduzione di costi nella realtà mai sostenuti.
La ricchezza illecita così generata veniva successivamente distratta dai tre imprenditori cinesi mediante sistematiche operazioni di svuotamento dei conti correnti aziendali, realizzate:
- effettuando, in assenza di qualsiasi giustificazione commerciale, plurime operazioni di trasferimento di denaro, per oltre 2,6 milioni di euro, verso altre imprese, sempre riconducibili ai predetti indagati;
- utilizzando semplicemente la liquidità incassata nel sistematico acquisto, per oltre 9 milioni di euro, di beni di lusso, quali orologi di noti brand di alta gamma oltre che borse e accessori delle più blasonate marche dell’alta moda. Tutti beni questi, accumunati dall’elevato valore unitario, non soggetti ad alcun tracciamento o obbligo antiriciclaggio, possono quindi essere agevolmente ceduti tra privati senza alcuna formalità. È stato infatti accertato come la vendita di 7 orologi del valore di circa 263 mila euro abbia consentito di ottenere una rilevante provvista successivamente in parte utilizzata per l’acquisto di due appartamenti.
Questa ben congeniata e collaudata attività di “ripulitura” del denaro permetteva ai tre imprenditori cinesi di reinvestire le somme illecitamente accumulate in ingenti e variegati investimenti nel settore finanziario, in quello immobiliare oltre che imprenditoriale.
La meticolosa attività investigativa ha consentito all’Autorità giudiziaria felsinea di emettere un decreto di sequestro preventivo d’urgenza, successivamente convalidato dal Giudice per le Indagini Preliminari del locale Tribunale, la cui esecuzione ha portato al sequestro di 63 orologi riconducibili a notissimi brand, tra cui Rolex, Audemars Piguet, Patek Philippe, per un totale di quasi 2 milioni di euro, 117 borse di lusso tra cui 26 Hermes del valore di circa 500 mila euro, 2 autovetture e 6 appartamenti ubicati tra le provincie di Bologna e Milano.