Un caro saluto alla cittadinanza presente oggi in Piazza, alle autorità militari e civili, alle istituzioni e ai gonfaloni delle associazioni della memoria, la brigata ebraica, l’ANED e un saluto particolare all’ANPI, ai tanti giovani presenti in piazza oggi.
Il 25 Aprile è la giornata più bella dell’anno nel nostro paese. E’ la festa della nostra democrazia e il momento nel quale un popolo ripete il proprio giuramento alla Costituzione.
Un giuramento collettivo di fedeltà alla Repubblica e una professione di antifascismo.
Sono passati 80 anni da allora ma i motivi per celebrare la giornata di Liberazione nazionale sono aumentati di anno in anno.
Lo sappiamo. Il destino ha voluto che questa festa per la libertà e la dignità patria ritrovata, accadesse a pochi giorni dalla morte di Papa Francesco e il giorno prima dei suoi funerali. Ma c’è forse un significato in tutto ciò.
Per prima cosa, come Sindaco di Bologna voglio da qui mandare un abbraccio a tutta la comunità cristiana. Penso di interpretare il pensiero di tanti, nel dire che Papa Francesco ci ha lasciato numerosi insegnamenti di natura religiosa, ma altrettanti di natura laica.
Tra questi, ci ha fatto riscoprire parole sopite da tempo come fratellanza, pace, speranza.
Anche per questo, in apertura del mio intervento penso sia giusto omaggiare Francesco ancora una volta con l’applauso di questa nostra piazza.
L’80 esimo del 25 aprile è per tutta la Città Metropolitana di Bologna un’occasione speciale. Centinaia sono le iniziative organizzate per divulgare, approfondire e fare memoria, ma anche feste di strada e cori. Riti collettivi quale è appunto la Festa della Liberazione. Un momento istituzionale e di popolo.
Una comunità unita e coesa che si riunisce attorno alla nostra bandiera e a quello che abbiamo ricevuto in dono dalle generazioni che ci hanno preceduto: 80 anni di libertà – 80 anni di pace – 80 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Voglio qui ricordare la giornata di ieri. Con l’inaugurazione della lapide in memoria del secondo corpo d’armata polacco guidato dal Generale Anders che per primo entrò nella città di Bologna il 21 Aprile 1945.
Una cerimonia alla presenza dei veterani polacchi ancora rimasti in vita, protagonisti delle battaglie tra le altre di Monte Cassino, Ancona e Bologna. Un momento commovente.
Quando il generale Władysław Anders attraversò le strade della nostra città con la sua armata, portava sulle spalle il peso di un popolo deportato, disperso, costretto all’esilio. Molti dei suoi soldati – ed il generale Anders stesso – venivano dalla prigionia sovietica, altri erano orfani, altri ancora avevano attraversato le steppe dell’Asia centrale da dove si sono poi riorganizzati e hanno cominciato la “marcia” che li avrebbe poi portati ad avere un ruolo fondamentale per la liberazione di diverse città italiane, con un grande sacrificio di sangue.
Le loro croci, 1432 croci, riposano al confine tra Bologna e San Lazzaro nel cimitero di guerra polacco.
I sopravvissuti di quella spedizione hanno issato la bandiera polacca il giorno della liberazione di Bologna e in molti hanno deciso di rimanere a vivere nel nostro paese. Studiando all’Università di Bologna o formando una famiglia.
Altri sono tornati a casa, in Polonia e a seguito della divisione in blocchi nella Guerra Fredda, hanno vissuto sotto il Comunismo fino alla sua caduta.
Oggi, il popolo polacco vive nuovamente a pochi chilometri dai propri confini orientali un nuovo incubo: il conflitto russo ucraino.
Bologna sarà eternamente grata al popolo polacco per la sua Liberazione e non possiamo che sentirci vicini a loro e al popolo ucraino per quanto sta accadendo loro.
Non possiamo dirci indifferenti a quanto accade nella città di Kharkiv nostra gemellata o ancora a Kiev, bombardata nuovamente durante il periodo di Pasqua e nelle ultime notti.
Poco più di 80 anni fa l’abisso fu raggiunto nella nostra città sotto le bombe.
“Ciò che si vive a Bologna nei duri mesi di occupazione tedesca è una quotidianità di ordigni sganciati dai bombardieri che sorvolano la città; di civili morti ed edifici distrutti; di gente sfollata nei comuni limitrofi e poi rientrata nell’ultimo inverno di guerra; di persone rastrellate e trucidate negli eccidi nazisti; di partigiani torturati e fucilati”.
Fame, freddo e bombardamenti. Questo è il racconto che riporta un libro recentemente pubblicato dalla Casa Editrice Minerva dedicato alle immagini della liberazione di Bologna scattate da Walter Breveglieri e Edo Ansaloni.
Nel capitolo dedicato ai bombardamenti sulla città si legge:
Su Bologna le bombe cominciano a cadere nel luglio del 1943 e proseguono sino agli ultimi giorni di guerra, con intensità diversa a seconda dei periodi e delle situazioni belliche generali.
In occasione del secondo attacco aereo sulla città, il 24 luglio 1943, 51 aerei americani partiti dall’Algeria scaricano 150 tonnellate di bombe.
Poche Settimane dopo il 25 settembre, 71 bombardieri B17 arrivano sulla città senza essere avvistati dall’antiaerea e scaricano 840 ordigni con i cittadini che vengono sorpresi ancora nelle case o per le strade.
Risultato: 936 morti accertati e più di mille feriti. Ma moltissime persone vengono letteralmente polverizzate dalle esplosioni per cui sono state ipotizzate almeno 2000 vittime e 500 edifici distrutti.
L’autunno-inverno 1944 è il periodo più drammatico per chi combatte nelle file della Resistenza: rastrellamenti, esecuzioni sommarie e, fuori dalle mura cittadine, gli eccidi che si fanno ancora più barbari (basti ricordare i fatti di Marzabotto e Monte Sole).
I cadaveri dei giovani trucidati da fascisti e nazisti vengono esposti per le strade come monito per l’intera cittadinanza. Sotto le mura di palazzo d’Accursio, nel tratto che nell’immediato dopoguerra diverrà il Sacrario dei partigiani, i cadaveri dei «ribelli», come vengono chiamati i partigiani dai nazifascisti, vengono abbandonati per giorni.
Ciò avviene con ancora più accanimento dopo la battaglia di Porta Lame e il proclama Alexander del novembre 1944, quando la speranza di chiudere i conti con la guerra si spegne e gli occupanti possono imprimere una ulteriore pressione nella ricerca degli oppositori.
Il frutto della volontà di potenza Nazista e del regime Fascista italiano portò a tutto questo e a molto altro ancora.
I prossimi 10 e 11 maggio, grazie all’invito di ANED accompagnerò 300 tra insegnanti e ragazzi delle scuole bolognesi, insieme ai quali visiteremo il campo di MAUTHAUSEN in occasione dell’80° anniversario della sua chiusura.
Sarò per me la prima volta.
E penso sia giusto, come Sindaco, dare sostegno e continuità ai viaggi della memoria insieme alla scuole. Perché è ai giovani che dobbiamo rivolgere il nostro massimo sforzo.
Delle oltre 190 mila persone che si stima siano state rinchiuse Mauthausen in Austria, circa 90 mila trovano la morte.
La vittoria degli alleati in Europa portò la fine di tutto, non prima purtroppo della morte di milioni di persone.
La Liberazione del nostro paese rappresentò allora uno dei capitoli più importanti di quella vittoria, che pose fine al Nazifascismo e alla sua follia, ponendo le basi per la nascita di una nuova Europa e di un nuovo secolo di pace sotto l’egida di un nuovo equilibrio internazionale.
Un mondo nuovo si diceva allora, dove i diritti umani tutelati e promossi dal consesso delle Nazioni Unite avrebbero dovuto diventare il pilastro fondamentale di una promessa fatta a se stessa dall’umanità.
Care e cari bolognesi.
Oggi è un giorno di festa ed anche un giorno di riflessione per la nostra comunità.
Ed in questo giorno ci dobbiamo dire, che se 80 anni fa l’Italia fu liberata dalla guerra, la guerra però non hai mai smesso di esistere.
Tanta parte del mondo, infatti, chiede ancora di essere liberata.
Liberata dalla guerra, dalla miseria, dall’ingiustizia ambientale, dalle disuguaglianze.
Ottant’anni dopo, probabilmente anche in questo momento mentre parliamo, le bombe cadono e gli arsenali si consumano in oltre 57 guerre in corso sul nostro pianeta.
In un passo della Bibbia il profeta Ezechiele racconta che lo Spirito del Signore conduce il profeta in una valle piena di ossa aride, simbolo di un popolo ormai sconfitto, devastato, senza speranza.
Dio chiede a Ezechiele: «Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?»
E il profeta risponde: “Tu solo lo sai”.
Ma poi lo Spirito soffia e le ossa si ricompongono. Il respiro entra nei corpi, e la vita ritorna.
E’ una visione di resurrezione collettiva, non individuale.
Un’immagine biblica che ha attraversato secoli e oceani, diventando anche canto di riscatto tra gli schiavi d’America.
Un canto di liberazione, di identità ricostruita dopo la schiavitù, di lotta per i diritti civili, di resurrezione dalla disumanizzazione.
Io mi chiedo e chiedo a tutti noi: la nostra umanità potrà rialzarsi dalle sue rovine?
Da quelle di Gaza, ad esempio.
Secondo i dati satellitari dell’ONU (UNOSAT), circa il 69% degli edifici della Striscia è stato distrutto o gravemente danneggiato dopo il 7 Ottobre. Si stima che siano stati generati circa 34 milioni di metri cubi di macerie.
La portata della devastazione a Gaza è stata paragonata a quella delle città europee durante la Seconda Guerra Mondiale, come Dresda e Amburgo, sia per l’intensità dei bombardamenti che per la percentuale di distruzione urbana .
Di fronte a tutto questo, noi contemporanei potremo dire di non avere visto?
Dal 2014 a oggi, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), oltre 28.000 migranti e rifugiati hanno perso la vita nel Mediterraneo, di cui più di 22.300 lungo la rotta del Mediterraneo centrale, che collega il Nord Africa all’Italia.
Nel solo 2024, sono stati registrati almeno 8.938 decessi di migranti lungo le rotte migratorie a livello globale, rendendo l’anno più mortale mai registrato dall’OIM.
Secondo l’UNICEF, circa 3.500 bambini e adolescenti sono morti o scomparsi nel Mediterraneo centrale nell’ultimo decennio, una media di quasi un minore al giorno.
Di fronte a tutto questo, noi contemporanei potremo dire di non avere visto?
Di non avere letto queste cifre o di non avere a disposizione testimonianze?
Tutto è connesso. Così diceva Papa Francesco.
Viviamo un tempo in cui i confini tra le crisi si sono dissolti.
Non c’è una crisi ambientale, una crisi sociale, una crisi migratoria, una crisi democratica. Ce n’è una sola che lui definiva “crisi antropologica e culturale”.
«Ascoltare tanto il grido della Terra quanto il grido dei poveri» scrive nell’Enciclica Laudato si’.
Ci invitava a cambiare la prospettiva: a vedere l’altro come un fratello, non più aiutare dall’alto verso il basso, ma riconoscere il sapere, la dignità, la forza trasformativa dei popoli del Sud globale. Le loro lotte per la terra, per il clima, per la pace, un’avanguardia di un futuro umano.
«Non c’è sviluppo senza pace, non c’è pace senza sviluppo», scrive nella Fratelli tutti.
Ci proponeva di pensare la pace come un processo quotidiano, fatto di inclusione, diritti, lotta alla povertà, dialogo tra comunità.
La pace si costruisce nelle città, nei quartieri, nelle scuole, nei rapporti tra generazioni.
Quanta semplicità mi viene da pensare, ma anche quanta ipocrisia tra quanti oggi lo definiscono un punto di riferimento, pur non condividendone per nulla la parola e il pensiero.
Non è solo questione di numeri.
È una questione di sguardo.
Il Sud globale, ha affermato Papa Francesco, non ha bisogno della nostra compassione. Ha bisogno che riconosciamo il debito storico che abbiamo contratto:
● un Debito climatico.
● un Debito coloniale.
● un Debito di ascolto e di verità.
E costruire insieme una nuova architettura della pace.
Una pace che non sia solo assenza di guerra, ma presenza viva di giustizia, di equità e di diritti.
Perché se è vero che «ogni monumento della civiltà è anche un monumento della barbarie» come scriveva Walter Benjamin, sì forse il colonialismo è stato sconfitto dalla storia, ma nella mentalità dei paesi dominanti il colonialismo è rimasto in fondo una condizione permanente.
Come può un mondo in cui 2,7 miliardi di persone non hanno accesso a un pasto decente ogni giorno accettare di essere guidato da chi consuma il 25% delle risorse globali pur rappresentando meno del 5% della popolazione?
E allora, ricordiamocelo bene, a 80 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale il destino ha voluto che questo 25 aprile non celebrassimo solo la fine della guerra, ma la prosecuzione di una speranza.
Domani, il mondo saluterà per l’ultima volta Papa Francesco.
Oggi e domani, vi invito a vivere assieme queste due importanti giornate con coraggio e con amore.
Con l’entusiasmo e con un profondo senso di ingiustizia per un mondo che ancora non ci piace e che vogliamo liberare dalle guerre, cambiare e ricostruire.
Per chi crede e per chi non crede la lezione di Papa Francesco è scritta abbastanza chiara nel Vangelo quando recita “il regno di Dio è già in mezzo a noi”, cioè nelle mani che costruiscono, nelle parole che curano, nei sogni che resistono.
Città, città di fuoco resisti – ha scritto Pablo Neruda nel 1942 per celebrare la resistenza eroica della città sovietica di Stalingrado contro l’assedio nazista, trasformandola in un simbolo universale di lotta e speranza per tutti i popoli oppressi – resisti finché un giorno
arriveremo, indiani naufraghi, a toccare le tue muraglie
con un bacio di figli che speravano di tornare.
Stalingrado, non esiste un Secondo Fronte,
però non cadrai anche se il ferro ed il fuoco
ti mordono giorno e notte.
Anche se muori non morirai!
Perché gli uomini ora non hanno morte
e continuano a lottare anche quando sono caduti,
finché la vittoria sarà nelle tue mani,
anche se sono stanche, forate e morte,
perché altre mani rosse, quando le vostre cadono,
semineranno per il mondo le ossa dei tuoi eroi,
perché il tuo seme colmi tutta la terra.
Il mio augurio – a 80 anni dalla Liberazione – è che in questa nostra città il fuoco della fratellanza, della speranza e della solidarietà continui ad ardere a lungo, perché il mondo ne ha tanto bisogno.
Viva la Resistenza, viva la Liberazione, via Bologna! viva l’Umanità che rinasce!