Si è svolta ieri, giovedì 14 aprile, presso il teatro Carani di Sassuolo, la giornata di studio promossa dal Comitato Studentesco del Baggi in collaborazione con la Presidenza e il patrocinio del Comune di Sassuolo, sul tema “Tra globalizzazione, innovazione, ristrutturazione e razionalizzazione: quale futuro per l’economia di Sassuolo.
All’incontro con gli studenti del triennio del Baggi, oltre al Sindaco Luca Caselli, all’Assessore alla Pubblica Istruzione Antonio Orienti e all’Assessore al Marketing Territoriale Claudio Casolari, hanno preso parte Francesco Bergomi per Confindustria Ceramica, Franco Rubbiani di Lapam Confartigianato Imprese e il Consulente aziendale Cristiano Canotti del quale riportiamo una sintesi dell’intervento.
“L’economia globale sta cambiando i distretti industriali: Non è una novità, a Sassuolo ce ne siamo accorti tutti. Sassuolo, però, non è sola: l’Italia, il Mondo sono pieni di distretti.ce a volte hanno caratteristiche in comune, ma non sono affatto tutti uguali, anzi; le difficoltà che incontrano in particolare i giovani italiani, ma più in generale tutti coloro i quali hanno (sia dietro che davanti alle spalle) lavori insicuri, non sono solo il prodotto della crisi in atto. La proporzione di giovani NEET (Neither in Education, nor in Employment or Training) è tra le più elevate del mondo occidentale. L’esercito dei nuovi sottooccupati è composto soprattutto da giovani sotto i 35 anni, che la stagione della flessibilità ha trasformato da “disoccupati anni ’90” in “precari degli anni 2000”. Spesso pure ben scolarizzati. A volte, persino troppo. E’ il peso sempre più rilevante assunto dall’instabilità lavorativa a spiccare nel nuovo contesto di crisi occupazionale, in cui la perdita e la mancanza del lavoro riguarda un bacino di persone più ampio rispetto al più recente passato, includendo pure adulti espulsi (spesso non per loro colpa) dal circuito.
Sono cambiate le prassi seguite dalle imprese nelle assunzioni, assecondate dall’attuale regolazione del lavoro. Così, a qualunque età del lavoratore, una nuova assunzione, seguita ad un licenziamento, prevede un periodo più o meno lungo di lavoro con un contratto temporaneo. Con il passare degli anni e delle generazioni questa tendenza sta modificando radicalmente il modello occupazionale italiano, orientandolo sempre più verso il lavoro temporaneo nelle diverse forme.
Tutta la cultura di impresa e del lavoro a Sassuolo è stata generata e si è sviluppata senza apporto diretto di esperienze esterne, ma solo con un confronto, senza mescolarsi troppo con abitudini e mentalità differenti: perciò siamo ibridi , ma autoctoni.
ESPORTARE NON VUOL DIRE INTERNAZIONALIZZARE – La nuova internazionalizzazione tende a dare molto più spazio agli scambi trans-nazionali di conoscenze, invece di limitare i rapporti alla pura commercializzazione dei prodotti. Non è più un fenomeno elitario, che possa riguardare soltanto ( o principalmente) le imprese abbastanza grandi da fuoriuscire dall’alveo del mercato nazionale. Oggi è una necessità per tutte le imprese. La generazione di valore e/o margini richiede sempre di più una divisione del lavoro su scala globale. La novità consiste proprio nel superamento dello stereotipo della grande impresa, e nell’apertura di una pluralità di vie che utilizzano intensamente le reti, sia quelle reali (ossia rapporti di vendita, approvvigionamento, licensing, franchising…..) che quelle virtuali, legati al sapere e al saper fare. Sono le reti, più che le singole imprese, a trans-nazionalizzarsi: la conoscenza oggi viaggia veloce, via web e via aerea, con costi bassissimi, e questo è molto più “democratico” e pervasivo rispetto al modello elitario e poderoso di ieri. Anche le imprese piccole e medie possono, in questo modo, far parte di una catena trans-nazionale del valore.
ED E’ QUI CHE SI INSERISCE IL BISOGNO DI FIGURE PROFESSIONALI DINAMICHE ED APERTE – Le imprese possono acquisire un vantaggio decisivo, se sono in grado di utilizzare le conoscenze e specialismi accessibili a scala mondiale, invece che produrle in proprio – o in un ambiente sentito “vicino” – ad alto costo e rischio. Questo permette all’impresa di focalizzarsi in un sapere specifico, e di contare per tutto il resto sulla fornitura di macchine, servizi, tecnologie, competenze e anche lavorazioni di altre imprese, con cui si ha un rapporto di fiducia e di comunicazione collaudato. Il sapere tacito viene dall’esperienza diretta di imprenditori e lavoratori. Il sapere codificato è quello che consente di accedere alle reti globali e di utilizzarne i linguaggi, che si impara studiando a scuola. Naturalmente i due saperi non coincidono, e soprattutto possono entrare in contrasto tra loro, quanto a contenuti ed esperienze professionali/formative. E’ naturale ed inevitabile. Da un lato, il sapere tacito dell’esperienza non è una sopravvivenza del passato, e dall’altro il sapere codificato non è qualcosa che si limita a standardizzare i linguaggi e la comunicazione. Ciascuno è invece necessario all’altro , perché: il sapere che viene dall’esperienza utilizza risorse disponibili “gratuitamente” in loco come le tradizioni, la cultura locale, le relazioni basate sulla conoscenza personale e la fiducia reciproca, e questo rende spesso distinta, riconoscibile una produzione locale; il sapere codificato, quello che va studiato, è quello che consente di uscire dallo spazio angusto del sistema locale e di interloquire con clienti e fornitori lontani. Questo avviene grazie agli standard della comunicazione in codici tecnici, commerciali, legali, amministrativi, gestionali, conosciuti indipendentemente dai contesti. La combinazione delle caratteristiche dei due saperi è ciò che permette di generare valore economico.
NON E’ ANCORA CAMBIATO il MODO DI LAVORARE – L’atteggiamento culturale che le imprese adottano all’interno del sistema distretto. E’ ancora molto tradizionale. Se il grande sistema aziendale ‘fordista’ si rompe in molte business units autonome, ciascuna delle quali cerca un proprio rapporto col mercato e con partners esterni, sviluppando una missione specifica, nel distretto le diverse unità (imprese) devono accrescere il proprio patrimonio di conoscenza e di relazioni, senza demandarlo più al sistema complessivo (ossia ad altre imprese del mercato captive).
SERVONO NOTEVOLI CAMBIAMENTI – Accrescimento dell’intelligenza “in linea”; reversibilità delle relazioni ( alto/basso, centrale/locale); formalizzazione dei linguaggi e delle procedure operative, per comunicazioni e relazioni a distanza; professionalizzazione del lavoro, ai vari livelli, per governare relazioni e competenze maggiormente formali; investimenti e rischi crescenti in risorse immateriali; dipendenza da servizi specializzati ( finanza, ma non solo) localizzati anche fuori del distretto. Le aziende diventeranno più mobili, intrattenendo rapporti con una molteplicità di territori, senza radicarvisi , bensì semplicemente utilizzando le risorse specifiche disponibili: agevolazioni fiscali, manodopera qualificata, manodopera a basso costo, vicinanza ai clienti finali, incentivi pubblici, ecc. Il rapporto che queste imprese intrattengono con il territorio è di tipo contrattuale perché basato sulla convenienza a permanere o insediarsi: si tenderà a localizzarsi in quel luogo solo se conviene, e fino al momento in cui conviene.
Ma questo non vale per tutte le imprese. Le imprese piccole e artigiane, quelle su cui è cresciuta l’economia dei distretti, sviluppano verso il territorio un altro tipo di rapporto, che tiene conto del fatto che non sono nelle condizioni di valutare e accettare le condizioni che vengono loro da qualsiasi territorio. Sono imprese che non si possono permettere la mobilità delle altre e che quindi con il proprio territorio hanno un rapporto di identificazione piuttosto che di negoziazione; al territorio sono ancorate, le loro radici sono lì, e di conseguenza cercheranno di utilizzare i servizi e le opportunità che vi sono, tante o poche che siano; dal territorio dipendono, per questo sono anche le imprese che alle istituzioni locali si rivolgono spesso , avanzando richieste, facendo pressioni”.