Il professor Gianni Toniolo, esperto di Storia dell’economia europea dal 1800 a oggi e di Storia della moneta e della finanza, uno dei più importanti economisti italiani riconosciuti a livello internazionale, ha presentato ieri nell’Aula Magna dell’Università di Modena e Reggio Emilia la ricerca realizzata per conto di Banca d’Italia “L’Italia e l’economia mondiale, 1861-2011”.
Invitato da Boorea, che ha organizzato l’incontro in collaborazione con Legacoop Reggio Emilia, il professor Toniolo ha offerto al pubblico un’interessante analisi della storia economica dell’Italia quale complemento indispensabile per arrivare alla ricerca delle misure idonee a promuovere lo sviluppo. “La storia del nostro sviluppo economico moderno – ha spiegato il professor Toniolo – offre uno spunto di riflessione anche per il difficile momento che viviamo. Nel 1861 il nuovo Regno d’Italia era un paese povero, il reddito per abitante era circa equivalente a quello medio attuale dell’Africa subsahariana, la metà di quello del Regno Unito, allora la potenza economica egemone. In centocinquanta anni, il reddito per abitante dell’Italia è aumentato di circa 13 volte. La povertà assoluta non è stata del tutto debellata ma colpisce solamente il 4-5 per cento della popolazione. Cifre che colpiscono per l’enormità dell’aumento di reddito e di benessere realizzato in un periodo di tempo che ha coinvolto poche generazioni che hanno saputo trasformare un’economia largamente agraria dapprima in industriale e poi basata sul settore dei servizi”.
Quali sono i fattori, allora, che a partire dagli anni Novanta, hanno fatto perdere all’Italia quella “capacità sociale di crescita” realizzata con tanto successo in 150 anni di storia e soprattutto nel mezzo secolo postbellico?
“La nostra economia – ha esordito Toniolo – non è stata in grado di adattarsi in modo sufficiente rapido alla rivoluzione tecnologica, alla globalizzazione e all’integrazione europea dettata dall’Unione monetaria e dei mercati. Tutta la società, nel suo complesso, non è stata in grado di fare il necessario salto culturale per cogliere queste trasformazioni come opportunità di crescita. A un indebolimento quantitativo e qualitativo della grande impresa si è unita una finanza pubblica caratterizzata da spesa e debito elevati e una sopravvalutazione del cambio reale che, tra le conseguenze, hanno portato alla riduzione del volume degli investimenti pubblici in ricerca e infrastrutture determinando, di fatto, un rallentamento nella crescita. A questi fattori il professor Toniolo aggiunge un basso livello di scolarizzazione e quelli che definisce “i mali antichi”: povertà di capitale umano, istituzioni inadeguate, corruzione, criminalità, scarsa concorrenza sul mercato interno.
Basti dire che l’Ocse ha stilato un indice di “capacità di reggere alla globalizzazione” basato su regolazione, istruzione, flessibilità del mercato del lavoro, programmi per il lavoro e ambiente innovativo da cui l’Italia risulta al 24° posto su 26 paesi analizzati.
Anche Simona Caselli, presidente di Legacoop Reggio Emilia, riconosce l’urgente necessità di adeguarsi rapidamente alla nuova economia internazionale. “Nel corso della storia, abbiamo visto che l’apertura internazionale è sempre stata foriera di periodi di grande sviluppo. La vera sfida sta nella capacità di mettere in campo strategie adeguate per l’attuazione di questa trasformazione che devono tenere conto anche di un nuovo sistema di welfare per il nostro paese per mantenere la necessaria coesione sociale”.
Strategie subito riprese da Franco Mosconi, professore di Economia industriale dell’Università di Parma, il quale accanto alla necessità di una nuova classe dirigente indica il bisogno di “nuove politiche industriali che favoriscano la liberalizzazione dei mercati e la ricerca applicata che integri sempre di più università e impresa”.
Un messaggio di fiducia infine, a chiusura del terzo appuntamento con Le conversazioni di Boorea, arriva dal vicedirettore generale di Banca d’Italia Salvatore Rossi, che manifesta fiducia sulla possibilità che l’Europa esca rapidamente dalla crisi economicamente e finanziaria. “L’Italia ha subito qualche difficoltà nell’affrontare la rivoluzione tecnologica che negli ultimi anni ha cambiato radicalmente i processi di produzione – ha ammesso il dirigente – ma il Paese ha comunque le carte in regola per essere competitivo sul piano internazionale anche oggi che le produzioni sono il risultato di un’integrazione tra capacità manifatturiera, servizi, conoscenze ed ingegnerizzazione, vero oggetto degli scambi internazionali”.