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Tumori ossei: sopravvivenza, in 40 anni da 10% a 70%

Negli anni ’70 solo il 10% di chi veniva colpito da un tumore osseo sopravviveva, e doveva subire sempre l’amputazione di un arto. Oggi, a 10 anni dalla comparsa della malattia, è vivo il 70 % di chi viene colpito da osteosarcoma o da sarcoma di Ewing (i tumori più frequenti che colpiscono soprattutto prima dei 20 anni). In 9 casi su 10 l’arto viene salvato.

I risultati della lotta ai tumori ossei sono stati il fulcro della relazione di Katia Scotlandi, direttore dell’Unità operativa ‘fattori di crescita e recettori’ del laboratorio di ricerca oncologica degli Istituti ortopedici Rizzoli (Ior) di Bologna in occasione dei 40 anni dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc).
Lo Ior è una struttura esclusivamente ortopedica, unico Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) monotematico in Italia. Il ‘lavoro oncologico’ è circa 1/3 delle attività dell’Istituto.

”Negli ultimi anni ci si è potuti concentrare sul miglioramento della qualità della vita del paziente” ha spiegato Scotlandi. ”Oggi l’amputazione non è spesso più necessaria grazie alla chemioterapia preoperatoria e alla possibilità di sostituire il pezzo di osso asportato con soluzioni ricostruttive. Soluzioni che vanno dall’autotrapianto di un osso prelevato dallo stesso paziente, all’osso prelevato da una ‘banca’, fino a tecniche ancora più sperimentali che uniscono l’osso prelevato al paziente con quello preso da una banca e che permettono di ricostruire segmenti ossei molto lunghi. Protesi che, rispetto alle vecchie, permettono all’arto di continuare a crescere, dato che sono ‘vivi’. Un aspetto fondamentale dato che i malati sono spesso ragazzi”.

Ma la ricerca ha permesso anche di mettere a punto terapie mirate sul paziente per rendere più leggero il trattamento chemioterapico. I giovani infatti tollerano meglio la chemioterapia rispetto agli adulti, ma per loro gli effetti nel tempo sono più pesanti: sterilità, tossicità ematica, possibilità di sviluppare un secondo tumore, oltre al fatto che i trattamenti di lungo periodo incidono profondamente sulla vita del ragazzo.
Così la ricerca mira ”a definire dei ‘marcatori’ molecolari per predire, alla diagnosi, la pericolosità del tumore, e dall’altro di identificare i bersagli molecolari da sfruttare nella terapia stessa. Questo è l’obbiettivo principale del laboratorio diretto da Scotlandi. ”Marcatori come la ‘glico proteina P’ che permette di discriminare i pazienti che hanno buone possibilità di guarigione a cui viene così evitato un ‘sovratrattamento’ chemioterapico – ha spiegato la ricercatrice -. Inoltre, per il sarcoma di Ewing, abbiamo individuato due bersagli terapeutici, come il ‘marcatore CD99’, una molecola di membrana che una volta attivata manda al nucleo della cellula tumorale il messaggio di suicidarsi”.

Scotlandi ha voluto ricordare che, data la rarità dei tumori trattati dallo Ior l’interesse delle case farmaceutica è scarso e il contributo dato dall’Airc è fondamentale. Dal 1983, quando è nato il comitato Emilia-Romagna, l’associazione ha finanziato con oltre 19 milioni di euro ben 561 progetti di ricerca. Negli ultimi 6 anni Airc ha finanziato lo Ior con 526.254 euro.

















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