“Ricoprendo un ruolo istituzionale rilevante in seno all’Amministrazione regionale dell’Emilia-Romagna, desidero chiarire pubblicamente alcuni aspetti della vicenda che è stata riportata nei giorni scorsi sulla stampa. Vicenda che riguarda il rapporto tra il ruolo di assessore e lo svolgimento della mia professione di medico. Lo faccio con molta serenità, perché non c’è nessun mistero da svelare né, tantomeno, vi sono “questioni morali” da affrontare”. Lo afferma l’assessore dell’Emilia Romagna, e medico urologo, Carlo Lusenti, in merito agli accertamenti sulla sua attività presso un poliambulatorio privato di Reggio Emilia.
Lusenti spiega:
“Partiamo dai fatti. Primo, sono in aspettativa senza assegni dal Servizio sanitario nazionale dal giorno della mia nomina ad assessore. Questo vuol dire mettermi nelle condizioni di svolgere il mio incarico di assessore nella massima autonomia per quanto riguarda la sfera di competenza della Regione, che riguarda – è importante dirlo – il sistema della sanità pubblica e di quella accreditata. Sono escluse, quindi, quei presidi sanitari che, per semplificare, non hanno rapporti di tipo economico con il sistema sanitario pubblico.
Secondo fatto: è vero, non c’è alcun mistero: alcuni sabati al mese, al mattino, ho avuto modo di seguire, come urologo, alcuni miei vecchi pazienti, nella mia città. Pazienti che, per rapporti consolidati nel tempo, hanno desiderato essere da me seguiti. E’ una attività prevista da specifiche ed esplicite norme di legge, e l’ho fatta in una struttura privata, una struttura che non ha alcun rapporto con il servizio sanitario regionale, cioè che nulla chiede e nulla riceve dalla Regione Emilia-Romagna.
Mettendo quindi da parte l’aspetto della incompatibilità, che non c’è e su questo mi pare vi siano pareri concordi, cosa resta?
Resta, dicono alcuni, il tema della opportunità. Ma cosa vuol dire opportunità? Va spiegato. C’è forse una “opportunità” universalmente riconosciuta? O, piuttosto, vi sono delle valutazioni che possono essere fatte, invece, tenendo conto della realtà delle cose, tenendo conto del fatto che si stia, o meno, operando – mi viene da dire, da medico – in scienza e coscienza?
C’è una diminutio nel mio ruolo di assessore se, nel mio tempo libero, continuo a mantenere vivo quel rapporto, che è importante, tra medico e paziente? Io credo di no, io credo che ciascuno di noi sappia cosa vuol dire mettere la propria fiducia nelle mani della persona che crediamo abbia la professionalità per occuparsi della propria salute. E questo è biunivoco, nel senso che si è medici, non si fa i medici. Anche se si è assessori, senza che questo interferisca nel ruolo pro tempore di amministratore, come hanno dimostrato anche nel recente passato medici che hanno ricoperto ruoli di governo nella sanità nazionale.
Si dirà: resta il dato economico, che non sottovaluto. Cioè il ricavato da questa attività, seppure saltuaria. In tutta onestà, ma davvero senza alcuna spocchia, non si può certo pensare che sia stata questa la molla che mi ha spinto a mantenere il rapporto con quei pochi pazienti cui accennavo sopra. Rinunciare all’aspetto economico non sarà certo un problema: quello che non mi si può chiedere è rinunciare ad essere medico. E continuerò, collaborando gratuitamente con chi, associazioni, enti o altro (occorre ribadirlo: fuori dalla rete regionale pubblica), mi consentirà di farlo.
Chiudo queste considerazioni con la ferma convinzione che il mio ruolo pro tempore di assessore regionale alla sanità non sia in alcun modo in conflitto con quella che è stata, è e sarà la professione che ho scelto.
Da oggi, da domani, per me non cambierà nulla: continuerò a svolgere il mio ruolo con lo stesso spirito di servizio e la stessa caparbietà che occorre per garantire, anche in questi momenti così difficili, la qualità del Servizio sanitario di questa regione, cui tutti abbiamo diritto”.