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Rinnovabili, rischio chiusura per 300 aziende associate a Confagricoltura Emilia Romagna

“È irresponsabile e priva di ogni logica, la politica dell’attuale Governo che intende colpire ancora una volta le rinnovabili, estremamente rilevanti anche per l’agricoltura. Dopo l’abbattimento dei prezzi minimi garantiti attraverso la loro equiparazione ai prezzi zonali medi – contro cui hanno fatto ricorso circa 150 aziende associate a Confagricoltura Emilia Romagna – e la tassazione della produzione di energia riconducibile alle imprese agricole, ora tocca alla rimodulazione degli incentivi che coinvolge obbligatoriamente gli impianti fotovoltaici di potenza superiore a 200 kW e che a breve potrebbe interessare le altre fonti rinnovabili”. È questa la ferma presa di posizione del presidente di Confagricoltura Emilia Romagna, Guglielmo Garagnani, in merito al dibattito creatosi intorno al decreto “spalma-incentivi”. “Solo in Emilia Romagna – tiene a precisare Garagnani – sono a rischio 300 aziende agricole tra le nostre associate”. Confagricoltura chiede pertanto alle Commissioni riunite Industria ed Ambiente del Senato di intervenire in sede di conversione in legge del decreto legge 91/14 (Competitività), sopprimendo l’art.26 che prevede la rimodulazione obbligatoria degli incentivi per il fotovoltaico, che provocherebbe effetti devastanti sull’intero settore ed in particolare sulle imprese agricole. Anche perché le proposte di emendamento di modifica dell’art.26, in discussione al Senato, non solo non migliorerebbero l’attuale impostazione, ma in alcuni casi la peggiorerebbero. In sintesi: l’art.26 introduce una serie di disposizioni fortemente penalizzanti per i produttori di energia fotovoltaica ed in generale per il settore delle energie rinnovabili a fronte di una ipotesi, ancora incerta, di risparmio della spesa energetica per le PMI (si stima che meno del 15% delle imprese italiane potrebbe beneficiare della misura), così come espresso nell’Audizione del 2 Luglio 2014 delle Commissioni 10° e 13° del Senato della Repubblica. Queste disposizioni palesemente retroattive inciderebbero tra l’altro su contratti di diritto privato già stipulati – così come sostenuto anche dal Presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida – costringendo le imprese a rinegoziare con gli Istituti di credito condizioni di finanziamento di certo più onerose rispetto alle originali. A pagare il prezzo più alto sono dunque gli imprenditori agricoli: fino allo scorso aprile, tali impianti erano riconducibili al reddito agrario; motivo per cui gli imprenditori agricoli, spinti sia dall’esigenza di diversificare i propri redditi che dalle normative esistenti atte a garantire il raggiungimento degli impegni sottoscritti a livello internazionale dallo Stato, hanno investito in innovazione ed energia verde, utilizzando legittimamente uno strumento di incentivazione dello Stato che oggi, nonostante i contratti siglati con il Gestore dei Servizi Energetici, rischiano di veder fallire non solo l’attività energetica, ma più in generale l’azienda. “Per questo – conclude in una nota l’organizzazione agricola – è indispensabile escludere quantomeno dalla misura gli impianti di potenza inferiore ad 1 MW, con particolare riferimento a quelli realizzati dalle imprese agricole, tenendo fuori in ogni caso dalla rimodulazione gli impianti realizzati sugli edifici, incluse le serre, a prescindere dalla potenza, ed auspicando inoltre da parte dell’esecutivo una vera riforma sull’attuale infrastruttura elettrica atta a ridurre gli sprechi di gestione e a rispondere alle esigenze dell’intero paese ”.

















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