Per la UIL non è affatto vero che col Job Act cresce l’occupazione. Col Job Act cresce solo l’ultima tipologia di lavoro precario. Quello in cui il giorno di licenziamento è indeterminato, ma può sempre capitare dietro modesto compenso pagato dallo Stato per il mancato incasso dei contributi previdenziali. E quando lo sgravio finirà il prossimo anno assisteremo di nuovo al ripetersi dei contratti a termine e dei contratti di somministrazione. Per fare vera politica industriale e occupazionale bisogna fare ben altro. Tagliare le tasse ai lavoratori e alle imprese, lavorare sulle infrastrutture siano esse trasporti, comunicazioni, reti stradali e informatiche.
Abbattere i passaggi burocratici, garantire l’erogazione dei crediti di imposta e i rimborsi in tempi rapidi.
Non è né moderno né civile un paese che ritarda le erogazioni degli ammortizzatori sociali, dei fondi per il terremoto che blocca gli stanziamenti, che tiene al lavoro come una condanna a vita uomini e donne fino a 70 anni e i giovani disoccupati o sotto-occupati fino a 30.
La UIL chiede da tempo con forza un cambio di rotta. Chiediamo a tutti, assessori in primis, di fare estrema attenzione ai dati che vengono ufficializzati dai vari organi competenti, prontamente smentiti dai numeri. Nel mese di febbraio per effetto del Job act sembrava si fossero fatte migliaia di assunzioni, quando, dopo aver fatto le verifiche coi dati dell’anno prima la differenza era di sole 13 unità. A marzo andò peggio. Dai dati in nostro possesso vi è una modestissima ripresa e anche qualche preoccupazione che è giunta dal settore macchine agricole.
Gli stessi economisti che fino a poco tempo fa predicavano austerity e rigore anche nei tempi di crisi, ora si stanno pentendo di aver imposto teorie che hanno di fatto favorito crisi, fallimenti, licenziamenti e perfino suicidi in tante persone giunte alla disperazione.
E chi gira gli occhi dall’altra parte è complice di questo stato di cose.
(Luigi Tollari, Segretario generale CST UIL Modena e Reggio Emilia)