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C’è posto nella locanda? Augurio di Natale del vescovo Erio

Natale-Castellucci“Non c’era posto per loro nella locanda”, dice il Vangelo di Luca presentando Maria e Giuseppe alla ricerca di un luogo dove far nascere Gesù. Ma “non c’era posto” perché le locande erano piene e gli affari andavano a gonfie vele, oppure perché quella coppia non ispirava fiducia e quindi veniva garbatamente respinta?

La prima interpretazione evoca quel Natale segnato dal benessere e dai consumi che tutti in Italia abbiamo conosciuto dall’epoca del boom economico: ristoranti pieni, ipermercati presi d’assalto, negozi affollati per l’acquisto dei regali, luminarie sulle strade e nei giardini, tonnellate di panettoni e  pandori, settimana bianca o week end in agriturismo, cenone e auguri con brindisi. Fino a qualche anno fa, nella Messa di mezzanotte la voce del sacerdote ammoniva di non farsi abbindolare dal lato consumistico del Natale e di recuperarne il nucleo autentico: la visita di Gesù e la pace che è venuto a portare.

Ma da qualche anno i sacerdoti italiani – e non solo – si appassionano di meno nella condanna del Natale consumistico, perché c’è sempre di meno da consumare. La crisi che da anni sta scorrendo nelle vene di quasi tutte le economie del pianeta, ed ha investito anche il nostro paese dando solo recntemente qualche segnale di attenuazione, ha reso più attuale la seconda interpretazione del versetto di Luca: “non c’è posto”, nelle locande del mondo, per i poveri viandanti. C’è sempre meno posto per chi non può permettersi il ristorante, l’acquisto di costosi regali o il cenone di mezzanotte. La crisi ha reso più netta la distinzione tra quelli che vivono bene e quelli che papa Francesco chiama “gli scarti” della società. In numero crescente le persone e le famiglie – non più solo straniere – bussano alle porte delle Caritas chiedendo aiuto.

La grande maggioranza dei modenesi non si colloca né nella categoria dei ricchi che continuano ad affollare ristoranti, ipermercati e negozi raffinati, né nella categoria dei poveri rifiutati dalle locande del mondo, estromessi da tutte le offerte del mercato; si trova piuttosto in quella “fascia intermedia” che evita sia le gioiellerie che le mense Caritas. Come vive il Natale questa grande fetta di cittadini? A volte si fa prendere forse da nostalgie e rimpianti, nel rievocare i “tempi migliori”, quando le possibilità erano maggiori e la vita era più facile per tutti. Un’idea: e se invece questa fascia intermedia, nella quale probabilmente quasi tutti ci riconosciamo, approfittasse dell’ennesimo Natale “in tono minore” per recuperare ciò che nel Natale consumistico rimane sepolto dal luccichio dei colori e dei sapori, e cioè le relazioni autentiche? Alla fine nella vita conteranno solo le relazioni: e già ora, più del valore monetario del regalo conta l’affetto tra chi dona e chi riceve; più che l’abbondanza dei piatti conta il rapporto tra i commensali; più che la comodità dell’albergo conta l’amicizia tra i partecipanti alla vacanza. Se diminuiscono i regali, i piatti e le settimane bianche, non deve venire meno la relazione che essi devono custodire. Per i credenti poi tutto sorge da una relazione che parte dall’alto: quella che il Figlio di Dio sceglie di stringere con ogni uomo. Un “Natale in tempo di crisi” può diventare un’occasione per recuperare l’essenziale.

 

















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