“L’economia illegale ed irregolare cresce costantemente e con essa aumenta la concorrenza sleale per le aziende che rispettano leggi, regolamenti ed imposizione fiscale. Una considerazione che potrebbe sembrare banale ma che trova riscontro nei dati Istat rielaborati dal nostro centro studi”. Così Marco Granelli, Presidente di Confartigianato Emilia Romagna, commenta i risultato di uno studio che ha analizzato l’andamento di lavoro sommerso ed abusivismo.
In Italia sono 6.897.000 le persone che acquistano beni e servizi che contengono lavoro irregolare, con una spesa del 75,5% superiore alla media Ue. Il tasso di lavoro irregolare nel Mezzogiorno (18,9%) è quasi doppio rispetto al Centro-Nord (10,4%) e nell’arco di un triennio l’economia sommersa e illegale è cresciuta del 2,4% mentre l’economia regolare è scesa del 2,4%. Ancora l’economia illegale è cresciuta del 6,9%, con un tasso più elevato di quello dei 28 settori dell’economia regolare. Per dare un un’idea delle dimensioni del fenomeno basta pensare che le attività illegali generano un valore aggiunto pari a 16.548 milioni di euro, superiore all’intero settore della produzione di mezzi di trasporto.
“L’artigianato – prosegue Granelli – è fortemente esposto alla concorrenza sleale del sommerso e dell’abusivismo: al terzo trimestre 2015 sono 330.233 le imprese artigiane, pari ad un quarto (24,2%) dell’artigianato italiano, che subiscono la concorrenza sleale del sommerso. Le nostre aziende sono più piccole, più deboli, difficilmente in grado di abbassare ulteriormente i prezzi dei propri prodotti e servizi per inseguire i ribassi imposti da chi non rispetta le regole del mercato”.
Una grave minaccia per le imprese regolari e in particolar per quelle operanti nell’artigianato, deriva dall’abusivismo. Il fenomeno del lavoro irregolare presenta forti differenziazioni territoriali, in generale il Mezzogiorno registra l’incidenza del lavoro non regolare più elevata del Paese, pari al 18,9% e quasi doppia rispetto a quella del Centro-Nord (10,4%). La Calabria è la regione che presenta il valore più alto (22,9%), seguito da Campania (21,4%), Sicilia (20,0%), Puglia (17,0%) e Abruzzo (15,5%), All’opposto la regione più virtuosa è il Veneto che presenta una quota di lavoro irregolare dell’8,5%, dietro a Bolzano (8,7%), Valle d’Aosta e Marche (entrambe con 9,3%) Emilia Romagna (9,5%) e Trento e Lombardia (entrambe con 9,6%).
Al III trimestre 2015 i comparti rilevanti dell’artigianato che risultano a più alta esposizione alla concorrenza sleale del sommerso sono: Altri servizi alla persona con un tasso di irregolarità per il 2013 pari al 25,0%, Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione con il 24,9% e Trasporto e magazzinaggio con il 20,2%, comparti in cui complessivamente operano 330.233 imprese artigiane, pari ad un quarto (24,2%) dell’artigianato italiano. Complessivamente risultano esposte alla concorrenza sleale del sommerso 898.902 imprese artigiane, pari ai due terzi (65,8%) dell’artigianato nazionale.
A fronte di una incidenza dell’artigianato esposto alla concorrenza sleale del sommerso sull’artigianato totale pari in media nazionale al 65,8%, si tocca il valore massimo del 73,5% in Liguria, dove 3 imprese artigiane su 4 sono interessate dal fenomeno; segue la Valle d’Aosta con il 72,7% ed il Lazio con il 70,8%, mentre l’Emilia Romagna è quarta con un’incidenza pari al 69%; anche nella regione dove l’incidenza più bassa, la Sicilia, sono 6 imprese artigiane su dieci (59,6%) sono minacciate dalla concorrenza sleale del sommerso. In particolare, se a livello nazionale l’incidenza dell’artigianato ad alta esposizione alla concorrenza sleale del sommerso sull’artigianato si attesta sul 24,2%, si raggiungono i valori più elevati in Campania e nel Lazio entrambe con il 30,4% e in Sicilia con il 27,7%.