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Risposta Pet evita chemioterapie intensive pazienti con linfoma di Hodgkin

Lo studio, denominato  RATHL, è stato condotto  su più di 1.200 pazienti con linfoma di Hodgkin avanzato, un tipo di neoplasia che coinvolge i linfonodi e che colpisce prevalentemente giovani adulti, ed ha valutato l’impatto del trattamento iniziale sottoponendo i pazienti ad un esame PET/TAC, un test per immagini che, grazie alla somministrazione di piccole quantità di glucosio radioattivo, permette di evidenziare le zone colpite dal linfoma, dove questa sostanza si accumula.

L’esame PET/TAC veniva eseguito dopo 2 cicli di chemioterapia standard (PET-2), ed in base al risultato i malati proseguivano il trattamento con una terapia più o meno intensificata rispetto a quella standard. In particolare, i pazienti con PET-2 negativa, ovvero dove le lesioni iniziali non erano più evidenti, venivano avviati ad una terapia più leggera nella quale veniva omesso un farmaco, la bleomicina.

Lo studio, finanziato dalla Cancer Research UK, dal Gruppo Australiano/Neozelandese per la lotta alle Leucemie e i Linfomi (ALLG) ed, in Italia, dalla Associazione Angela Serra per la Ricerca sul Cancro, ha dimostrato che i pazienti che proseguivano il trattamento senza bleomicina avevano le stesse percentuali di guarigione di quelli che ricevevano lo stesso trattamento usato inizialmente.

La eliminazione della bleomicina riduceva inoltre il rischio di tossicità polmonare legato a questo farmaco.

I malati, invece, che dopo due cicli di chemioterapia standard, presentavano una PET-2 positiva, ovvero con residui persistenti di malattia, venivano invece considerati affetti da una forma più resistente di linfoma di Hodgkin e venivano, pertanto, avviati a regimi di chemioterapia intensificati.

Il professor Peter Johnson, che opera presso l’Università di Southampton (UK), coordinatore clinico della Cancer Research UK e sperimentatore coordinatore dello studio in oggetto ha commentato: “La maggior parte dei pazienti con linfoma di Hodgkin può oggi essere curata con successo: in questo studio più del 95% dei pazienti erano vivi dopo 3 anni dal trattamento, ma quello che ancora ci preoccupa sono gli effetti indesiderati a lungo termine della terapia che hanno ricevuto. Questo studio ci ha permesso di personalizzare il trattamento per ogni paziente sulla base della risposta dopo due cicli. Questo approccio si è dimostrato molto vantaggioso per i pazienti con linfoma di Hodgkin, e può oggi essere considerato il nuovo standard di riferimento”.

Il professor Massimo Federico, ordinario di Oncologia Medica di Unimore e Presidente del gruppo cooperatore italiano che ha preso parte alla ricerca, riferisce: “Siamo riconoscenti per la fiducia che ci hanno concesso i nostri pazienti acconsentendo a partecipare a questo ampio studio, scientificamente rigoroso e costantemente monitorato, mirato a massimizzare la efficacia delle cure con il minimo di tossicità possibile. L’esame PET-2 ci ha permesso di identificare i pazienti con una probabilità di guarigione considerevolmente alta (97% a 3 anni). Questo studio ha dimostrato che possiamo personalizzare la terapia, risparmiando a molti pazienti la tossicità polmonare causata da una continua esposizione alla bleomicina, oltre a ridurre ulteriormente il rischio di infertilità conseguente all’esposizione a chemioterapia intensiva. Questo approccio, associato ad una ridotta necessità di trattamento radioterapico in combinazione con la chemioterapia, riduce in maniera sostanziale i danni ai tessuti sani del paziente e il rischio di seconde neoplasie, altro grave effetto indesiderato di alcuni trattamenti chemioterapici. Dall’altra parte, il persistere di anomalie alla PET-2 ha permesso di identificare quella piccola popolazione di pazienti (circa il 15%) nei quali la malattia è più aggressiva e che necessitano di chemioterapia intensificata“.

Il professor Stefano Luminari, associato di Oncologia Medica di Unimore e responsabile del Programma di Ricerca Clinica Oncoematologica, S.C. di Ematologia presso l’Arcispedale S. Maria Nuova- IRCCS di Reggio Emilia, uno degli sperimentatori italiani coinvolti nello studio, ha aggiunto: “Abbiamo fatto un grosso investimento nello sviluppo e nell’uso degli esami PET per guidare una medicina di precisione per i nostri pazienti. Questo studio meticoloso condotto in sette diversi paesi è un grande esempio di collaborazione internazionale per aiutare i pazienti a vivere meglio dopo il tumore”.

 

 

















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