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“Bolle di accompagnamento” di 3.300 anni fa, ritrovate a Karkemish

Due grifoni rampanti neoittiti scolpiti su una lastra di basalto, sarcofagi e corredi funerari achemenidi, tavolette neoassire con iscrizioni cuneiformi e decine di “bullae” ittite in argilla, le antenate delle nostre “bolle di accompagnamento”, usate nell’antichità per garantire lo scambio di merci. Sono solo alcuni dei tantissimi ritrovamenti emersi a Karkemish, in Turchia, nel corso dell’ultima campagna di scavo guidata dagli archeologi dell’Università di Bologna.

Situata nella regione di Gaziantep, tra l’Anatolia, la Siria e la Mesopotamia, l’antica città di Karkemish è stata un centro di straordinaria importanza, abitato almeno dal sesto millennio avanti Cristo. Spesso paragonata a città gloriose come Troia, Ur, Gerusalemme, Petra e Babilonia, a partire dal 2300 a.C. acquisì un ruolo centrale nella regione, passando nel corso dei secoli sotto il dominio di ittiti, assiri e babilonesi.

Dal 2011, una missione archeologica dell’Alma Mater, guidata dal docente Unibo Nicolò Marchetti, con la collaborazione degli atenei turchi di Gaziantep e di Istanbul, sta riportando alla luce le testimonianze di quel glorioso e ricchissimo passato.

Tra le scoperte più significative dell’ultima campagna di scavi – che si è tenuta lo scorso maggio – c’è senza dubbio quella di 250 bullae, sigillature di argilla con impronte di sigillo che venivano usate come “bolle di accompagnamento” per lo scambio di merci. Gli archeologi della missione turco-italiana le hanno trovate scavando fino a raggiungere il livello della tarda età del Bronzo, corrispondente all’epoca dell’impero ittita, nel XIII secolo avanti Cristo: periodo di massimo splendore per Karkemish che fino ad oggi era però rimasto inesplorato.

Sulle bullae rinvenute dalla missione archeologica a guida Unibo sono impressi i sigilli di alcune delle più alte cariche dell’amministrazione ittita dell’epoca. Tra queste si distinguono in particolare i nomi di Taya (o Tahe), principe e “auriga della dea Kubaba”, che utilizzava almeno undici diversi sigilli, di Ewri-Teshub o di Paia. Ricostruire in che modo venivano utilizzate queste bullae e a quali beni erano associate – spiegano gli studiosi – può rivelarsi molto utile per scoprire come funzionava il sistema di amministrazione della città, che a quel tempo era sede del viceré ittita, il quale aveva il controllo sull’intera regione siriana.

Ma quella delle bullae non è stata l’unica sorpresa per gli archeologi impegnati a Karkemish. Nella stessa area dell’antica città è venuta alla luce una grande lastra di basalto decorata con due grifoni rampanti che risale alla fine del X secolo a.C., durante il regno di Katuwa, nel periodo neoittita. Il ritrovamento fa il paio con un’altra lastra scoperta lo scorso anno che ritraeva un toro alato.

Risalgono invece al periodo neoassiro due tavolette con incisioni in scrittura cuneiforme che testimoniano il prestito di 20 chili di argento fatto da Ilu-zeru-ukin, governatore di Karkemish di quel tempo. Da quanto risulta dalle tavolette, la quantità di argento era calcolata secondo la “mina di Karkemish”, unità di misura standard diffusa all’epoca in tutto il Levante, di cui però fino ad ora non era mai stata trovata documentazione nel suo luogo di origine.

Guardando agli edifici, gli scavi avviati nell’area archeologica stanno poi portando alla luce una grande fortezza e un antico silos utilizzato per conservare i cereali, risalenti al periodo successivo alla caduta dell’impero ittita. E in una zona esterna al perimetro della città antica sta emergendo una grande villa risalente alla fine dell’epoca neoassira. A questa si sovrappone in parte una necropoli di epoca achemenide, da cui è emersa una cista, una tipologia di sepoltura in pietra. Nella stessa area, del resto, già lo scorso anno era venuto alla luce un sarcofago in terracotta con una decorazione antropoide che rappresenta un esempio unico per quell’epoca in tutto il Vicino Oriente.

In un’altra necropoli del sito, quella di Yunus, gli archeologi della missione turco-italiana hanno portato alla luce diversi splendidi corredi funerari dell’VIII e VII secolo a.C., mentre in un’altra area ancora dello scavo è emersa una grande villa risalente all’epoca tardo-romana (fine V secolo d.C.), con pavimenti in mosaico e i resti di un ingresso monumentale in cui si possono vedere la stele funeraria di un alto ufficiale e alcuni capitelli decorati.

Il lavoro degli archeologi dell’Alma Mater non si è fermato però all’attività di scavo e di studio dei reperti. Tutto è pronto, infatti, dopo anni di sforzi, per aprire finalmente al pubblico le porte dell’antica Karkemish, situata in un’area militare che fino adesso ne aveva precluso la visita al pubblico. A partire dal 12 maggio del prossimo anno, l’area diventerà un parco archeologico in grado di regalare ai visitatori un’esperienza immersiva tra le testimonianze straordinarie di uno dei principali centri urbani dell’antichità. Uno sguardo profondo verso il passato che però – promettono gli archeologi – non dimenticherà il presente, in un’area, quella al confine tra Turchia e Siria, che ancora oggi continua ad essere segnata da conflitti, contrasti e ferite, le cui cause profonde si collocano proprio negli anni dei primi scavi di Karkemish, quando Lawrence e Gertrude Bell – che avrebbero poi attivamente partecipato alla partizione del Vicino Oriente – si conobbero per la prima volta sul sito nel maggio 1911.

















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