In Italia, negli ultimi 10 anni, i lavoratori in nero sono aumentati di 95.000 unità, passando dai 3.142.800 del 1993, ai 3.237.800 unità di lavoro standard ‘registrati’ nel 2003. In pratica oltre 3.237.000 lavoratori che per 8 ore al giorno sono impiegati in attività non regolari. I dati sono stati diffusi dalla Cgia di Mestre.
Tra questi ci sono 2.664.500 lavoratori
dipendenti (pari all’82,3% del totale) ai quali si aggiungono 573.300 lavoratori autonomi (pari al 17,7% del totale).
A livello territoriale preoccupa la situazione presente nelle regioni del Mezzogiorno. Se a livello nazionale il tasso di irregolarità (ovvero, la percentuale di lavoratori in nero sul totale degli occupati) è pari al 13,4%, nelle regioni del Sud il dato medio ha toccato il 22,8% con punte
del 31% in Calabria, del 26% in Sicilia e del 23,2% in Campania.
Meno preoccupante, secondo l’analisi della Cgia di Mestre, la situazione al Nord. La regione meno ‘interessata’ da questo fenomeno è la Lombardia con il 7,3% del tasso di irregolarità, segue l’Emilia Romagna con l’8,6% e il
Veneto con l’8,7%. Di seguito tutte le altre Regioni.
Sempre dall’indagine della Cgia di Mestre il settore con la maggior presenza di sommerso è l’agricoltura con una percentuale del 32,9. In
Calabria, ad esempio, il tasso di irregolarità in questo settore è del 50,8%. Sempre a livello di macro settori seguono i servizi con il 14,5%;
chiude l’industria con il 7,1%.
Gravissima la situazione nelle costruzioni (che statisticamente è inclusa nell’industria). Questo comparto presenta
un tasso di irregolarità nazionale del 12,5% con punte del 41,8% in Calabria e del 33,1% in Sicilia.