Ha lasciato Modena per Forlì, e più precisamente le sale di Palazzo Comunale in piazza Grande, dove è normalmente esposto in città, per i Musei di San Domenico.
Il dipinto di Giovanni Muzzioli “La vendetta di Poppea” (1876) di proprietà dei Musei Civici di Modena sarà infatti esposto alla mostra “Ottocento. L’arte italiana tra Hayez e Segantini” che si svolge al museo forlivese dall’8 febbraio al 16 giugno.
La mostra, a cura di Fernando Mazzocca e Francesco Leone, vuol mettere un punto fermo sull’Ottocento italiano, focalizzandosi sui 60 anni che intercorrono tra l’Unità d’Italia e lo scoppio della Grande Guerra. Si passa dall’ultimo Romanticismo e Purismo al Realismo, dall’Eclettismo storicista al Simbolismo, dal Neorinascimento al Divisionismo, presentando i capolavori dei protagonisti di quei decenni. Sono esposte opere di pittura e scultura che segnano aspetti culturali e sociali nuovissimi, di impatto popolare e significato universale. La varietà di linguaggi ripercorre le sperimentazioni che hanno caratterizzato l’arte italiana nella seconda metà dell’800 e alle soglie del nuovo secolo in dialettica fra tradizione e modernità.
In mostra opere di pittori come, tra gli altri, Hayez, Malatesta, Morelli, Fattori, Previati, Sartorio, De Carolis, De Nittis, Pellizza da Volpedo, Segantini, Boccioni, Balla; e di scultori come Vela, Cecioni, Grandi, Gemito, Ximenes e Bistolfi.
A fianco delle loro opere c’è “La vendetta di Poppea”, che può essere considerato il dipinto più celebre del pittore modenese Giovanni Muzzioli, saggio del terzo anno per il Pensionato Poletti. L’opera scatenò immediatamente un acceso dibattito fra i difensori dell’ortodossia accademica e il giovane Adolfo Venturi che esprimeva posizioni di maggior apertura alle istanze del vero. L’opera raffigura il momento in cui Nerone offre la testa della sventurata Ottavia alla nuova moglie Poppea.
La tela esprime le caratteristiche che decretarono la fortuna commerciale della pittura di Muzzioli: rielaborazione di moderate istanze veriste debitrici dell’opera di Morelli, alla luce di un gusto per le ricostruzioni in costume che pervadeva i circoli romani frequentati dall’artista negli anni nella capitale.