Arrivano nuovi e interessanti risultati sul fronte della lotta alla cimice asiatica (Halyomorpha halys), presente dal 2012 in Emilia-Romagna dove continua a causare notevoli danni all’agricoltura e disagi alla cittadinanza. Sono in particolare i frutteti ad essere vittima di questo pericoloso insetto esotico, davvero insaziabile quando attacca pere, pesche, mele e kiwi, e che depone le uova almeno due volte all’anno con un potenziale riproduttivo fino a 285 uova/femmina.
Per affrontare la cimice asiatica – protagonista l’estate scorsa di un’invasione nei campi che in alcuni areali ha danneggiato fino al 40% delle produzioni – tecnici, ricercatori, cooperative e imprese agricole nel 2016 si sono associati in un Gruppo Operativo per l’Innovazione (GOI) promosso dal Centro Ricerche Produzioni Vegetali (CRPV) e finanziato dalla Regione Emilia-Romagna (nell’ambito del Piano di Sviluppo Rurale 2014/2020). Ne è scaturito un progetto triennale, denominato ‘Halys’, che vede la partecipazione del sistema cooperativo regionale e che è arrivato a individuare nuovi sistemi di difesa contro la cimice asiatica, sostenibili e rispettosi dell’ambiente. Tra questi le reti protettive e multifunzionali, le trappole a feromoni e i predatori naturali, sui quali in Cina è stato raggiunto un equilibrio grazie alla massiva presenza di un antagonista naturale, la “vespa samurai”, la cui importazione in Europa però è vietata per motivi di carattere burocratico/precauzionale, anche se quest’anno la sua presenza è stata segnalata accidentalmente nel nostro territorio.
“Sotto il profilo della difesa – spiega la coordinatrice del progetto, Maria Grazia Tommasini, del CRPV – è stata dimostrata l’utilità di tecniche di prevenzione fisica come l’impiego delle reti multifunzionali, che attualmente rappresentano uno degli strumenti più performanti per proteggere le produzioni frutticole dalla cimice asiatica, laddove applicate correttamente, vale a dire con copertura tempestiva dopo la fioritura”. “Il progetto – rileva la ricercatrice del CRPV – ha inoltre mostrato il contributo offerto da alcuni predatori naturali presenti nei nostri ambienti (appartenenti alle famiglie Reduvidae, Nabidae, Tettigonidae), in grado di combattere efficacemente soprattutto gli stadi giovanili della cimice asiatica. A questo proposito, appare quindi determinante preservare l’integrità e la funzionalità degli agroecosistemi per far fronte alla diffusione di specie invasive”.
“Nel triennio – aggiunge Tommasini – sono state valutate anche alcune trappole a feromoni, che hanno evidenziato una buona capacità di attrazione nei confronti di tutti gli stadi di sviluppo mobili della cimice asiatica. Questi dispositivi hanno però una forte variabilità nella cattura, imputabile a diversi fattori esterni, quali l’attrattività e la vigoria delle piante circostanti e il portamento della pianta su cui sono installati. L’impiego delle trappole è comunque utile per rilevare i picchi di presenza dell’insetto in campo e il momento in cui fanno la loro comparsa le forme giovanili”.
“Tra l’altro – conclude la coordinatrice – lo studio ha poi comprovato che la presenza di cimici nelle uve non determina danni significativi sulla produzione e non influenza le qualità chimico-fisiche ed organolettiche dei vini Lambruschi e Sangiovese, ma anche Merlot e Lugana”.
“Gli importanti risultati ottenuti attraverso questo progetto – sottolinea Raffaele Drei, presidente del CRPV – sono il frutto del lavoro di squadra condotto dal nostro Centro insieme agli altri centri di ricerca specializzati e alle imprese socie, a partire dal sistema cooperativo, e alla Regione con l’importante ruolo svolto dal Servizio Fitosanitario regionale, per contrastare e contenere la diffusione del temibile insetto legata ai mutamenti climatici. Occorre pertanto proseguire in questa direzione con ulteriori mezzi per rispondere alle domande ancora aperte sulla cimice asiatica e su altri fronti”.
“Parallelamente, sempre nell’ottica di partnership tra soggetti diversi, – conclude il presidente del CRPV – è necessario istituire nuovi paradigmi tra cittadini ed agricoltori, dove questi ultimi sono in prima linea, come per il progetto ‘Halys’, nel contribuire anche finanziariamente alla ricerca di nuove strategie di intervento, più naturali e sostenibili. Si tratta di un approccio vincente e strategico, soprattutto in tempi in cui la globalizzazione ed i cambiamenti climatici hanno favorito la diffusione e la moltiplicazione di nuovi patogeni alieni. Un fenomeno che, anche alla luce di un quadro normativo giustamente garantista per il consumatore e l’ambiente, lascia l’agricoltore sempre più sprovvisto di strumenti per affrontare in maniera adeguata la difesa del proprio raccolto con pesanti conseguenze sulla redditività”.