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Il sistema degli affidi a Modena è interamente pubblico

“Il minore non può essere separato dai genitori a meno che la separazione sia necessaria nell’interesse preminente del fanciullo”. A sancirlo è la Convenzione Onu del fanciullo, la Convenzione europea, e a cascata l’intera normativa in materia di affidi: comunitaria, statale, regionale e comunale.

Prevenire l’abbandono e garantire al bambino la possibilità di essere educato nella propria famiglia d’origine è un obiettivo primario per i Servizi sociali del Comune di Modena. Solo in caso di pericolo o pregiudizio per il minore, il Tribunale ne dispone l’allontanamento dalla famiglia e la presa in carico da parte dei Servizi socio sanitari che agiscono in un percorso strutturato in cui i professionisti si muovono all’interno di una metodologia che prevede diversi dispositivi di controllo.

Il sistema valutativo e progettuale degli affidi a Modena viene infatti gestito interamente dal Servizio Sociale comunale unitamente al Servizio di Psicologia clinica dell’Ausl, ovvero non ci sono affidamenti a soggetti esterni di alcun tipo.

Inoltre, anche nel caso di un affidamento eterofamiliare, mentre si assicura al minore una collocazione che ne garantisca uno sviluppo psicosociale equilibrato, vengono attivati interventi di sostegno del nucleo genitoriale naturale lavorando quindi per il rientro nella famiglia d’origine.

Dal 2014 il Comune di Modena aderisce anche al Programma Pippi nato proprio per ridurre il numero dei bambini allontanati dalla famiglia attraverso pratiche innovative e azioni di accompagnamento della genitorialità vulnerabile.

Lo ha spiegato l’assessora alle Politiche sociali Roberta Pinelli in occasione della Commissione consiliare Servizi convocata dal presidente Tommaso Fasano proprio per fare il punto su “Il Sistema degli affidi a Modena”, che nelle prossime sedute del Consiglio comunale sarà anche argomento di diverse interrogazioni consiliari.

Oltre all’assessora Pinelli, alla Commissione di mercoledì 18 settembre sono intervenuti il dirigente Settore Politiche sociali Massimo Terenziani, la dirigente Servizio Sociale Territoriale Giulia Paltrinieri, la dirigente Servizio Gestione dei servizi diretti e indiretti Annalisa Righi, la responsabile Tavolo Affidi Chiara Neviani. Per l’Ausl erano presenti il direttore del Distretto di Modena Andrea Spanò, la responsabile Servizio di Psicologia Clinica Giorgia Pifferi, la responsabile Servizio di Psicologia minori e famiglie Luisa Lombardi.

Attualmente nel territorio comunale sono 125 i minori affidati a famiglie; 74 di loro sono stati affidati con sentenza definitiva del Tribunale. Si tratta spesso di bambini grandi, difficilmente adottabili oppure per i quali, nonostante sia accertata la non recuperabilità delle competenze genitoriali, il Tribunale minorile valuta sia necessario non recidere ogni rapporto con i genitori naturali, come accadrebbe tramite l’adozione. In questi casi quella affidataria diventa la famiglia prevalente per il minore e il Servizio sociale garantisce incontri protetti con i genitori naturali 2-3 volte l’anno.

ROFESSIONALITÀ E CONTROLLI

Oltre a quadro normativo e tipologie di affidamento, durante la Commissione consiliare di mercoledì 17 settembre, tecnici e dirigenti di Servizi sociali del Comune e dell’Azienda Usl hanno illustrato in modo dettagliato il processo che si attiva a fronte di una segnalazione di possibile pregiudizio per il minore.

Il processo di lavoro coinvolge una molteplicità di soggetti (la famiglia, la scuola, i servizi sociali e sanitari, la Procura, talvolta anche forze dell’ordine) e prevede diversi esiti a seconda dei fattori di rischio e di protezione del minore che emergono dalle valutazioni effettuate a più livelli da équipe multi professionali. Del team multidisciplinare fanno sempre parte l’assistente sociale e lo psicologo a cui si aggiungono, a seconda delle problematiche del minore e della famiglia, il neuropsichiatra, l’educatore professionale, lo psichiatra, l’esperto giuridico ed altre figure specialistiche.

Se vengono ravvisate condizioni di rischio, si cerca innanzitutto di condividere con la famiglia un progetto di sostegno alla genitorialità che consenta di mantenere il minore all’interno della famiglia attivando servizi semiresidenziali diurni, interventi educativi, centri di aggregazione giovanile, rete del volontariato, affidamenti part time che consentono al ragazzo di trascorrere alcune ore o giorni in una famiglia affidataria.

Nel caso non sia possibile il mantenimento nella famiglia naturale, per la grave inadeguatezza dei genitori e la necessità di collocare il minore diversamente, si ricorre ad affidi parentali (presso parenti entro il quarto grado adeguati e disponibili a farlo con il sostegno, anche economico, dei servizi sociali) o eterofamiliari temporanei.

L’affidamento eterofamiliare presso una famiglia con caratteristiche morali e idonea formazione viene quindi attivato per accogliere minori che non possono restare nel contesto di origine e non hanno altri parenti adeguati o disponibili. L’affido eterofamiliare è a termine e, solitamente, dura due anni.

Gli affidi eterofamiliari possono avvenire con la condivisione dei genitori naturali o senza; in tal caso la decisione spetta al Tribunale dei minori che decreta, in totale autonomia, le misure di protezione del minore (con un genitore o senza) e di sostegno per la famiglia di origine e il minore stesso. Il Tribunale infatti ascolta direttamente i famigliari e i minori e procede a indagini attraverso i propri organi di Polizia Giudiziaria o incaricando dei periti/consulenti tecnici d’ufficio.

Lo scopo resta comunque quello di attivare interventi di sostegno del nucleo genitoriale naturale, assicurando nel contempo al minore, uno sviluppo psicosociale equilibrato e positivo, con l’aiuto di un’altra famiglia, lavorando affinché il minore possa fare ritorno nel suo nucleo familiare, anche se spesso non è facile.

Sono 125 i minori attualmente in affidamento a famiglie, di cui 51 in affidamento etero familiare temporaneo e 74 sono stati affidati con sentenza definitiva del Tribunale. I minori collocati temporaneamente in Comunità sono invece 51.

L’inserimento in comunità del solo minore è l’opzione residuale a cui si ricorre solo qualora non sia possibile nell’interesse del minore attivare altre soluzioni.

I servizi sociali privilegiano sempre il mantenimento del legame con almeno un genitore attraverso l’inserimento in Comunità insieme a uno dei due genitori o in seconda istanza l’inserimento del minore in un contesto familiare con o senza un genitore.

PIPPI IN AIUTO ALLE FAMIGLIE VULNERABILI

Pippi, acronimo di “Programma di intervento per prevenire l’istituzionalizzazione”, nasce dalla collaborazione tra Ministero delle Politiche Sociali, Università di Padova e alcuni Comuni italiani, successivamente diventa un progetto della Regione Emilia Romagna, per innovare le pratiche di intervento nei confronti delle famiglie in situazione di vulnerabilità.

L’obiettivo è ridurre il rischio di allontanamento dei bambini dal nucleo d’origine.

Il Comune di Modena, già impegnato con interventi per sostenere la permanenza dei minori in famiglia, è tra le realtà nazionali che per primi hanno sperimentato questo approccio.

La sperimentazione del Programma ha dato vita a linee guida nazionali che a Modena sono entrate a far parte della metodologia di lavoro degli operatori dei servizi sociali.

In sintesi, Pippi si basa sulla possibilità di cambiamento delle persone, sulla famiglia come sistema, sulla valorizzazione e il coinvolgimento delle risorse formali ed informali che ruotano intorno alla famiglia e la comunità. I progetti attivati utilizzano ad esempio l’educativa domiciliare, i gruppi per i genitori e per i minori, le attività di raccordo tra scuola e servizi, le famiglie di appoggio.

Si tratta quindi di azioni di accompagnamento della genitorialità vulnerabile che vedono diversi ambiti di intervento e diversi attori coinvolti intorno ai bisogni di bambini e ragazzi: assistenti sociali, personale socio-sanitario e scolastico, educatori e famiglie di appoggio che lavorano in modo integrato e accanto alle famiglie allo scopo di migliorare le competenze dei genitori che potrebbero rischiare l’allontanamento dei figli minori.

COME SI DIVENTA FAMIGLIE AFFIDATARIE

Quando la famiglia d’origine si trova in una situazione di temporanea difficoltà nel prendersi cura del figlio o il Tribunale dei minori ne ha deciso l’allontanamento, la soluzione più adatta a garantire le condizioni per un equilibrato sviluppo psico sociale del minore è l’inserimento in altro contesto familiare.

Ed è a questo punto che si ricorre, quando possibile, all’affido familiare: un intervento di sostegno che consente al bambino di essere accolto in un’altra famiglia. L’affido è proposto e attuato dai Servizi Sociali che elaborano un progetto di affidamento che ha come obiettivo la tutela dei bisogni del bambino e sono i servizi sociali a supportare sia la famiglia affidataria che la famiglia di origine del bambino per tutta la durata dell’affido.

Il percorso per diventare famiglie affidatarie, dopo un primo colloquio informativo con l’assistente sociale che partecipa al Tavolo per l’Affido, prevede la partecipazione ad un corso di formazione che il Centro per le Famiglie organizza due volte all’anno.

Terminato il corso, se i candidati confermano la disponibilità, inizia un percorso di conoscenza svolto dall’assistente sociale insieme allo psicologo. In vari incontri vengono approfonditi con gli interessati la motivazione, la storia personale e famigliare, organizzazione familiare, capacità genitoriali e si effettuano anche visite domiciliari dove si conoscono gli eventuali figli e il contesto abitativo.

Al termine del percorso, viene fatto un incontro di restituzione delle valutazioni effettuate e una raccolta delle specifiche disponibilità. In tal modo la famiglia viene inserita tra quelle disponibili all’affido. Sono circa una trentina quelle attualmente presenti nella banca dati dei Servizi sociali.

L’eventuale abbinamento degli aspiranti affidatari con un minore viene deciso dal Tavolo Affido che è composto da professionisti diversi rispetto all’equipe che valuta i bisogni dei minori. Ottenuta la disponibilità della famiglia, può iniziare il percorso di accoglienza del bambino e il percorso di sostegno al progetto di affido tendente al rientro del minore nella famiglia d’origine.

















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