“La chiusura percutanea del PFO alla luce delle nuove e evidenze: percorsi, indicazioni e appropriatezza” è al centro dell’evento organizzato mercoledì 6 novembre dalla Struttura Complessa di Cardiologia dell’Ospedale Civile di Baggiovara, diretta dal dottor Stefano Tondi, dalla Struttura Complessa di Cardiologia del Policlinico, diretta dal prof. Giuseppe Boriani e dalla Struttura Complessa di Neurologia diretta dal prof. Stefano Meletti.
Appuntamento all’Ospedale Civile, in Aula Vecchiati, a partire dalle 14,30. Scopo del corso è fare chiarezza su questa variante della normalità cardiaca che nella maggior parte delle persone non determina alcun disturbo, ma in determinate condizioni può causare ischemie e per la quale oggi è possibile una chiusura percutanea. Il corso ha ottenuto il patrocinio dell’Ordine dei Medici di Modena, della Società Italiana di Ecocardiografia e Cardiovascular Imaging (SIECVI) e dell’Italian Stroke Organization (ISO).
“Il Forame Ovale Pervio, detto PFO dall’acronimo in inglese – spiega il dottor Livio Picchetto, neurologo della Stroke Unit dell’Ospedale Civile, di cui è responsabile il dottor Guido Bigliardi, e referente scientifico del corso – è una condizione cardiaca in cui l’atrio destro comunica con il sinistro a livello della fossa ovale attraverso un tunnel e interessa all’incirca il 25-30% della popolazione. La comunicazione tra i due atri è essenziale durante la vita fetale, quando l’ossigeno proviene dalla madre tramite la placenta e i vasi del cordone ombelicale, essendo i polmoni non esposti all’aria. In questo modo, il sangue fluisce direttamente dalla porzione destra del cuore nella parte sinistra e, di solito, entro il primo anno di vita, questa comunicazione si chiude”.
“Quando la chiusura anatomica di questo tunnel risulta imperfetta – aggiunge il dottor Alessandro Malagoli, cardiologo dell’Ospedale Civile e referente scientifico del corso – o manca completamente abbiamo la sindrome da PFO. In condizioni normali, quando la pressione nell’atrio sinistro è più alta di quella nell’atrio destro, essa non comporta problemi. Se, invece, la pressione nell’atrio di destra supera quella dell’atrio sinistro, ci può essere un passaggio di sangue nell’atrio sinistro. Il volume di sangue che si muove <<contromano>> dipende dalla differenza di pressione e dalla dimensione dell’apertura”.
Pazienti di età inferiore ai 60 anni, colpiti da uno o più episodi di ischemia cerebrale la cui causa non sia stata determinata e subacquei colpiti da forme gravi di malattia da decompressione dopo immersioni eseguite nel rispetto delle tabelle sono le categorie a rischio che dovrebbero effettuare un esame per il PFO. La diagnosi del PFO viene effettuata tramite il Colordoppler transcranico, cioè una metodica non dolorosa, che per ricercare il PFO necessita di una iniezione di soluzione fisiologica. L’esame viene eseguito con la stessa sonda ecocardiografica normalmente adoperata per eseguire un ecocolorDoppler transtoracico, posizionata, però, sul capo in alcuni punti specifici. Questa condizione viene confermata, solo nei casi selezionati, tramite un ecocardiogramma transesofageo eseguito presso gli ambulatori della cardiologia.
Ai pazienti con PFO che hanno già avuto un ictus cerebrale viene consigliata una terapia di prevenzione secondaria con antiaggreganti piastrinici, o in rari casi, con anticoagulanti. Nei casi di ictus ischemico criptogenetico, cioè senza altre cause, può essere indicata una chiusura percutanea, cioè una procedura endovascolare, eseguita tramite cateteri condotti attraverso l’albero vascolare durante guida ecocardiografica transesofagea. Questa procedura è consigliata solo in casi specifici, valutati dal team multidisciplinare costituito da Neurologo e Cardiologo, che dopo aver attentamente valutato il caso e le caratteristiche morfologiche, possono porre o meno l’indicazione a tale trattamento.
Presso il nostro Ospedale questo percorso è presente da circa 12 anni, con incontri periodici di discussione dei casi clinici, con l’obiettivo di portare all’intervento endovascolare solo quei casi che ne abbiano effettiva necessità e indicazione. Recenti studi internazionali hanno confermato la validità di tale trattamento, sottolineando l’importanza di una gestione multidisciplinare e specialistica di questa condizione.