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Reggio, 78° anniversario del sacrificio dei sette fratelli Cervi e di Quarto Camurri: l’intervento del sindaco Vecchi

Reggio Emilia ha ricordato questa mattina al Poligono di Tiro di Reggio Emilia il 78° anniversario della morte di Agostino, Aldo, Antenore, Ettore, Ferdinando, Gelindo e Ovidio, i sette fratelli Cervi, e di Quarto Camurri nel giorno in cui ricorre l’anniversario del loro eccidio, accaduto il 28 dicembre 1943, per mano dei fascisti, nel poligono di tiro cittadino. Alla cerimonia hanno preso parte il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi, il presidente Alpi-Apc Elio Ivo Sassi e la presidente dell’Istituto Alcide Cervi Albertina Soliani.

 

“C’è sempre bisogno di capire e ritrovare le ragioni del sacrificio dei sette Fratelli Cervi e di Quarto Camurri – ha detto il sindaco Luca Vecchi – facendo in modo che il ricordo di quanto successo non sia un semplice rito istituzionale, ma una riflessione su un passaggio fondamentale e drammatico nella storia di una città, di una comunità e di un popolo. Siamo soliti, giustamente e comprensibilmente, ricordare questo momento nella sua valenza più drammatica, rappresentata dall’omicidio e dalla fucilazione quale conseguenza della scelta dell’antifascismo e della Resistenza. Non dobbiamo però mai perdere di vista quella che era già allora la relazione tra la storia della famiglia Cervi, la propria comunità e la propria terra, e il valore che rappresenta ancora oggi.

Quella dei Cervi era innanzitutto una famiglia che aveva radicata profondamente dentro di sé una visione progressista dell’uomo, una volontà di progredire e di uscire dalla condizione di povertà di quel tempo attraverso un’etica del lavoro che già allora costituiva uno dei fondamenti più forti di questa comunità. Per la famiglia Cervi  non bastava semplicemente lavorare per sopravvivere: c’era già allora la consapevolezza che il lavoro, e in particolare la fatica del lavoro, stavano insieme con il bisogno e la ricerca di un’innovazione e di un miglioramento progressivo. E c’era già in quella famiglia e in quel modo di essere, quella concezione del discutere, del decidere e del fare insieme che aveva le sue origini nel socialismo umanitario prampoliniano e che contribuì, alla fine dell’Ottocento e nei primi del Novecento, a mettere le basi di quel percorso verso la libertà interrotto dalle squadre fasciste con l’assalto alla Camera del lavoro di Reggio Emilia e poi ripreso dopo la fine della guerra.

Ci sono due elementi nella storia della famiglia Cervi che mi piace sottolineare in quest’occasione perché credo abbiano un forte significato non soltanto politico e culturale, ma anche valoriale anche rispetto alla storia e al percorso delle nostre terre. Il primo è quel rapporto tra la condizione di povertà e talvolta di miseria delle campagne reggiane di allora, e la consapevolezza del valore della conoscenza, della formazione e dell’educazione quali condizioni necessarie di quell’ascensore sociale fondamentale per il percorso verso la libertà.

L’altro elemento che voglio sottolineare è invece costituito dalle amicizie e dalle relazioni della famiglia Cervi, e in particolare quella con la famiglia Sarzi, tra una famiglia contadina dedita al lavoro e una famiglia di teatranti che si trovarono a condividere una comune visione del mondo e una medesima gerarchia di valori, nella piena consapevolezza che i linguaggi culturali e artistici fossero uno dei tanti veicoli per la crescita della persona e della comunità. Penso poi alla stessa casa della famiglia Cervi, con tutto il suo significato simbolico di luogo capace di accogliere e abbracciare storie personali, culture e nazionalità così tanto diverse.

Quel 28 dicembre 1943, con l’esecuzione dei fratelli Cervi e di Quarto Camurri, non si uccisero soltanto delle persone: si tentò di uccidere una storia intera e il sistema dei valori che in quel momento storico accompagnava il percorso di una comunità.

Credo che, a distanza di settantotto anni, sia legittimo chiedersi per quale motivo continuino a essere così vivo il ricordo e così emozionante il momento. Reggio Emilia ha fatto un suo percorso e una sua storia, è passata da successi e da sconfitte, ma ha sempre mantenuto un filo con quel sistema di valori che nel percorso che va dall’antifascismo e dalla Resistenza fino alla Liberazione e alla Repubblica, trova il fondamento etico e morale di un popolo che fra tanti sacrifici e tanti dolori ha saputo progressivamente ritrovare la propria libertà.

Quanto accadde allora viene oggi ricordato con forza, con lucidità ed emozione a distanza di quasi ottant’anni, perché la biografia di quella famiglia è progressivamente diventata la biografia in un’intera comunità. Spiace constatare – e lo dico non come elemento polemico ma come dato oggettivo – che ancora oggi non tutti abbiano compreso che quella era la parte giusta della storia e che ci siano persone che in questo Poligono non sono mai venute.

Dobbiamo tutti comprendere e tenere vivo con consapevolezza e con responsabilità verso la nostra memoria e la nostra storia questo percorso intrapreso allora dalla famiglia Cervi verso la libertà, il pieno riconoscimento dei diritti delle persone e della loro dignità, verso un ideale alto di democrazia e di solidarietà, e in ultima istanza verso un’idea forte di comunità. Un percorso che non si è mai interrotto e continua ancora oggi. Come diceva Martin Luther King in un altro contesto, che allora aveva a che fare con la lunga marcia dei diritti civili dei neri afroamericani, dobbiamo prendere un impegno a fare ogni giorno un passo in avanti e mai un passo indietro.
Viva i fratelli Cervi, viva l’Italia, viva la Costituzione”.

 

 

















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