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Presentato il 56° Rapporto annuale del Censis all’Oratorio San Filippo Neri di Bologna

Giusella Finocchiaro e Giorgio De Rita

È stato presentato oggi il 56° Rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del Paese nel 2022, in una serata all’Oratorio San Filippo Neri organizzata dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. Giorgio De Rita, Segretario Generale del Censis, ha illustrato il rapporto che ogni anno offre una narrazione esaustiva dei più rilevanti fenomeni sociali, culturali ed economici che interessano la società italiana.

«La presentazione del rapporto annuale del Censis è un’occasione che ci è particolarmente cara, e che i bolognesi attendono ormai come un appuntamento fisso  ̶  ha dichiarato Giusella Finocchiaro, presidente della Fondazione del Monte nell’introduzione all’incontro. L’indagine ci restituisce un’istantanea ad alta definizione del nostro Paese. Pare evidente la necessità di conoscere il sentimento che permea le nostre comunità, i bisogni, i timori di uomini e donne che ogni giorno sperimentano la fatica del vivere in una realtà imprevedibile. Il rapporto è un termometro importante per valutare quali rimedi sono necessari e una bussola per intervenire in modo efficace a sostegno di chi ne ha più bisogno, aiutando le persone più fragili  ̶  penso anche, e soprattutto, ai giovani  ̶  a superare momenti di crisi che, se non governati, possono portare ad una disgregazione sociale pericolosa».

Un’Italia post-populista e malinconica: è questa la fotografia dello stato d’animo del Paese che emerge dal 56° rapporto del Censis. Alle fragilità strutturali di lungo periodo che caratterizzano il nostro sistema economico e sociale, nel corso del 2022 si sono aggiunti gli effetti delle quattro crisi che si sono sovrapposte negli ultimi anni: l’ombra della pandemia, il conflitto ucraino, l’aumento dell’inflazione e la crisi energetica.

Da questo repentino mutamento di scenario emerge da parte degli italiani una rinnovata domanda di prospettive di benessere e si levano autentiche istanze di equità che non possono essere più etichettate semplicisticamente come “populiste”. La quasi totalità degli italiani (il 92,7%) è convinta che l’impennata dell’inflazione durerà a lungo, il 76,4% ritiene che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari, il 69,3% teme che il proprio tenore di vita si abbasserà e il 64,4% sta intaccando i risparmi per fronteggiare l’aumento del costo della vita.

Come sottolineato dal documento, gli italiani sono ora i protagonisti di nuova età dei rischi, dominati dalla paura di pericoli globali incontrollabili e privati dalle rassicuranti promesse della modernità e del progresso.  Il 61,1% teme che possa scoppiare un conflitto mondiale, il 58,8% che si ricorra all’arma nucleare, il 57,7% che l’Italia entri in guerra.

I grandi eventi della storia hanno fatto irruzione nelle microstorie delle vite individuali, instillando nella popolazione un diffuso senso di impotenza: tra i principali rischi globali percepiti sono relativi per il 46,2% la guerra, per il 45,0% la crisi economica, per il 37,7% virus letali e nuove minacce biologiche alla salute, per il 26,6% l’instabilità dei mercati internazionali (dalla scarsità delle materie prime al boom dei prezzi dell’energia), per il 24,5% gli eventi atmosferici catastrofici.

Tuttavia, quella del 2022, non sembra un’Italia sull’orlo di una crisi di nervi, segnata da diffuse espressioni di rabbia e da tensioni sociali. È la malinconia a definire oggi il carattere degli italiani, il sentimento proprio del nichilismo dei nostri tempi, corrispondente alla coscienza della fine del dominio onnipotente dell’«io» sugli eventi e sul mondo, un «io» che malinconicamente è costretto a confrontarsi con i propri limiti quando si tratta di governare il destino.

Come sottolineato nelle considerazioni generali che introducono il rapporto l’Italia sta vivendo uno stato di latenza diffusa:

«Il nostro Paese, nonostante lo stratificarsi di crisi e difficoltà, non regredisce grazie allo sforzo individuale, ma non matura. Riceve e produce stimoli a lavorare, a mettersi sotto sforzo, a confrontarsi con le ferite della storia, ma non manifesta una sostanziale reazione: rinuncia alla pretesa di guardare in avanti. Vive in una sorta di latenza di risposta, in attesa che i segnali dei suoi sensori economici e sociali siano tradotti in uno schema di mappatura della realtà e dei bisogni, adattamento, funzionamento – ha sottolineato nel corso della serata Giorgio De Rita, Segretario Generale del Censis. La società italiana aspetta di divenire adulta, si affida alle rendite di posizione e di ricchezza, senza corse in avanti affronta i grandi eventi delle crisi globali con la sola soggettiva resistenza quotidiana. Ma un prolungamento della fase latente della vita sociale comporta il rischio di una sorta di masochistica rinuncia, senza forza e ambizione, a ogni tensione a trasformare l’assetto sistemico e civile della nostra società. Una sorta di acchiocciolamento nell’egoismo, di avvolgimento a spirale su sé stessa della struttura sociale che attesta tutti a traguardi brevi.»

 

















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