Presso il Laboratorio di Neuroprimatologia dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, il gruppo di ricerca che studia le funzioni cerebrali nella scimmia ha identificato una nuova parte di area corticale situata nel lobo frontale e l’ha battezzata col termine scientifico di “Premotor Ear-Eye Field”, letteralmente “Campo premotorio dell’Occhio e dell’Orecchio”.
Immediata l’eco scientifica per questa importante scoperta che ha trovato immediata ospitalità sulla prestigiosa rivista internazionale Experimental Brain Research.
Lo studio portato avanti dal gruppo costituito dal prof. Leopoldo Bon, dalla dott.ssa Cristina Lucchetti e dal dott. Marco Lanzilotto, ha evidenziato la presenza di cellule nervose che si attivano solo per certe voci o rumori ambientali.
Oltre che a seguito di questi stimoli le cellule si attivano per movimenti dell’occhio e del padiglione auricolare (parte esterna dell’orecchio, mobile nella scimmia ma non comunemente nell’uomo).
“Un esempio – ha spiegato il prof. Leopoldo Bon – è quando ci si trova alla guida della propria autovettura ed improvvisamente si sente uno stridio di freni proveniente da destra, riconosciamo il tipo di rumore ed indirizziamo lo sguardo verso la sorgente sonora”.
Ma, le cellule nervose studiate non hanno solo queste capacità. “Abbiamo visto sulla scimmia – ha continuato il ricercatore modenese – che queste cellule hanno anche la proprietà di non attivarsi più per le voci o i rumori quando l’animale guarda attentamente una mira visiva. Quando ad esempio si è intenti in una lettura molto interessante e l’attenzione è concentrata su questa, spesso accade che uno stimolo uditivo venga percepito da noi come molto lontano o non venga percepito affatto”.
I dati raccolti durante le sperimentazioni prospettano l’apertura di nuove strade possibili per differenti applicazioni sanitarie, mediche, tecnologiche.
“Quello che auspichiamo – precisa il prof. Leopoldo Bon – è che questo risultato sperimentale possa far capire meglio i deficit funzionali che si possono avere in pazienti affetti da malattie neurologiche o psichiatriche. In realtà, anche se ciò può sembrare azzardato o futuribile, si potrebbe anche proiettare l’utilizzo di tali dati per la costruzione di un sistema di riconoscimento di stimoli ambientali durante la guida e, quindi, la costruzione di sistemi che possono servo-assistere il guidatore nell’evitare gli incidenti stradali”.
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