Quattro giorni di confronto e riflessione sul tema della salute mentale, ma anche di progetti concreti, buone pratiche e nuove collaborazioni con l’obiettivo di portare cura e assistenza ai 400 milioni di persone con disabilità psichiche che nel mondo non hanno accesso a servizi e spesso sono costrette a vivere nell’isolamento e in condizioni disumane.
Si è chiusa oggi, venerdì 18 aprile, la prima edizione del meeting internazionale “Rafforzare i sistemi di salute mentale nei paesi a basso e medio reddito”, che ha portato all’Hotel Continental di Rimini le autorità sanitarie e politiche di 15 paesi in via di sviluppo, i massimi vertici del dipartimento di Salute mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e i referenti di organizzazioni non governative e delle agenzie sanitarie italiane e internazionali.
Organizzato dall’associazione riminese Cittadinanza in collaborazione con l’OMS, con il contributo della Regione Emilia-Romagna e con il patrocinio di Ministero della Salute, Comune e Provincia di Rimini, da martedì 15 il meeting ha offerto ai rappresentanti dei 15 paesi presenti al meeting – dall’Albania alla provincia cinese di Hunan, passando da Azerbaigian, Striscia di Gaza, Benin e Tailandia – l’opportunità di incontrarsi, scambiarsi esperienze e confrontarsi con i professionisti e gli esperti delle agenzie e delle associazioni nazionali ed internazionali in merito all’organizzazione di servizi di salute mentale efficaci e rispettosi dei diritti dei malati.
“Oggi continua a esserci un gap enorme tra le persone con disturbi mentali che vengono effettivamente curate e persone che non ricevono nessuna assistenza – ha detto Benedetto Saraceno, direttore del dipartimento di Salute Mentale dell’OMS -. Non è un problema di cura, è un problema di come i servizi di salute mentale sono organizzati, come i pazienti trovano risposte ai loro bisogni. La soluzione è aumentare gli investimenti in salute mentale, passare dalla vecchia psichiatria manicomiale a una psichiatria di comunità, quindi cambiare la testa ai ministri e cambiare la testa agli psichiatri”.
La situazione sta però cambiando: anche grazie all’adozione del sistema di valutazione WHO-AIMS (World Health Organization – Assessment Instrument for Mental Health System), nelle istituzioni sanitarie dei paesi in via di sviluppo è cresciuta la consapevolezza dei diritti dei malati e dell’inadeguatezza di un sistema di salute mentale basato quasi esclusivamente sulla presenza di pochi grandi manicomi nelle principali città.
Deistituzionalizzare, offrire assistenza ai pazienti cronici fuori dagli ospedali e dentro le comunità, sensibilizzare i cittadini è per esempio l’obiettivo del progetto presentato dall’Egitto. “Vogliamo rimpiazzare i vecchi manicomi con servizi diffusi di salute mentale – ha detto Nasser Loza, segretario generale egiziano per la Salute Mentale dell’Egitto -. Per questo vogliamo realizzare piccole comunità residenziali, addestrare ‘squadre mobili’ che possano intervenire con urgenza nelle zone extraurbane e coinvolgere i cittadini attraverso una grande campagna di comunicazione”.
“I servizi comunitari di salute mentale sono più accessibili alle persone con malattie mentali e sono anche più efficienti nel prendersi cura dei loro bisogni rispetto agli ospedali psichiatrici – ha aggiunto Saraceno -. Ma soprattutto nei servizi comunitari è molto più difficile che siano violati i diritti umani dei pazienti, cosa che troppo spesso capita nei manicomi”.
“La deistituzionalizzazione dei sistemi di salute mentale è un processo lungo, che richiede degli anni e che deve svilupparsi secondo tre direzioni che vanno attivate in contemporanea – ha detto Anita Marini, direttrice scientifica di Cittadinanza -: la prima è migliorare la qualità della vita di chi oggi è rinchiuso nei manicomi, la seconda è iniziare a differenziare i propri investimenti sanitari verso la realizzazione di servizi diffusi sul territorio e la terza è dimettere i pazienti dagli ospedali bloccando nuovi accessi”.
Ma oltre che per il confronto con gli esperti internazionali, le quattro giornate del meeting di Rimini sono state utili per l’avvio di nuove collaborazioni tra paesi, agenzie sanitarie nazionali e internazionali e le organizzazione non governative che operano nel settore della salute mentale. Le ong italiane Aifo, Cuamm-Medici per l’Africa e Cittadinanza hanno attivato i primi contatti con le autorità nazionali di Mongolia e Uganda per sostenere i loro progetti di rafforzamento del sistema di salute mentale, mentre nella logica di uno scambio di conoscenze e di esperienze una delegazione giamaicana presto farà visita agli specialisti dei servizi di salute mentale di Torino.
“La cooperazione però a volte può diventare un matrimonio conflittuale – ha aggiunto Anita Marini -. Bisogna saper negoziare tra gli interessi delle autorità nazionali e la voglia di fare sul campo delle ong e delle agenzie delle Nazioni Unite, che a volte dimenticano di essere ospiti di un altro paese. Dobbiamo abbandonare l’approccio classico della cooperazione internazionale e rendere i paesi in via di sviluppo i veri protagonisti del cambiamento”.
“Il meeting è stato un investimento a lungo termine e non un evento fine a se stesso – ha concluso Maurizio Focchi, presidente di Cittadinanza -. Volevamo favorire il confronto tra le autorità sanitarie dei paesi a basso reddito e gli esperti internazionali, l’alto livello delle discussioni e la grande circolazione delle idee dimostrano che abbiamo centrato l’obiettivo. Ora dobbiamo impegnarci per mettere a frutto il nostro sforzo e sviluppare i progetti e le collaborazioni che sono nati in questi giorni, con la convinzione che anche attraverso la cooperazione è possibile portare cure e aiuti alle persone con disturbi mentali che vivono nei paesi più poveri”.
Per informazioni: Cittadinanza onlus, tel. 0541 57684, e-mail, sito web: Cittadinanza.