La riforma della giustizia va fatta “dialogando”, ma poi si deve decidere. A chiarirlo il ministro della Giustizia Angelino Alfano, a margine di un convegno in corso al Meeting di Rimini. Il Guardasigilli spiega ai cronisti che “siamo al lavoro” e che la riforma “è la priorità della ripresa dell’attività politica parlamentare”.
“La riforma della giustizia la faremo e sarà una grande sfida, un grande banco di prova – precisa – tra chi vuole cambiare e chi vuole conservare”.
“Così com’è a noi la giustizia non piace e per questo – assicura Alfano – la vogliamo cambiare e lo faremo dialogando, perché il decidere senza dialogare somiglia troppo a una dichiarazione di guerra unilaterale”.
Contemporaneamente “parlare senza decidere – spiega il Guardasigilli – è l’esatto contrario di una cultura di governo che vuole dare risposte al nostro paese”.
“La nostra riforma – annuncia – terrà al centro i cittadini”. I quali, chiarisce il ministro, “non ne possono più di un sistema di giustizia che non dà loro risposte certe, o che le dà dopo 10 anni e incerte”.
“Oggi non c’è certezza della risposta della legge. I cittadini – insiste il Guardasigilli – meritano un processo più veloce e una giustizia più rapida per risolvere le loro controversie”.
“E noi – spiega Alfano – daremo un ventaglio di risorse sull’efficienza che riguarderanno le sedi disagiate delle Procure e le sedi di frontiera, per risolvere il processo penale e civile. Ma anche misure – conclude – di contrasto alla mafia e alla criminalità organizzata”.
Nel corso del convegno organizzato dal Meeting di Rimini, dedicato alla detenzione in carcere e alla possibilità di ricostruirsi una vita, Alfano sottolinea come sia “nel preciso rapporto tra giustizia e misericordia che si colloca la funzione dello Stato”.
La premessa fondamentale è, e resta, la certezza della pena, ovvero che chi sbaglia deve pagare. Ma è altrettanto importante che “mentre paga il detenuto deve essere aiutato a redimersi”.
E per garantire questa possibilità il ministro è pronto a presentare un progetto che prevede una serie di interventi. Tra questi la proposta del “braccialetto elettronico, che non prevede recidiva, che non prevede evasione e che garantisce minori costi per la giustizia, come avviene in Francia”.
In secondo luogo i 4300 stranieri che devono scontare una pena inferiore a due anni potrebbero essere semplicemente espulsi. Alfano propone anche la costituzione di “agenzie di collocamento dei detenuti”.
Una quarta proposta riguarda la volontà di sottrarre all’istituto carcerario i bimbi fino a 3 anni che stanno insieme alle loro mamme detenute. Poi, dalla confisca dei beni mafiosi si possono recuperare i finanziamenti utili a “costruire luoghi di detenzione che non abbiano l’aspetto del carcere, ma che siano vere e proprie case che non costringano i bambini a subire il trauma” e che valorizzino “l’essere moglie e mamma della detenuta”.
Al contrario, ai detenuti mafiosi ”che hanno una visione ideologica che risponde a uno Stato parallelo noi non abbiamo nulla da offrire, perché si sono sottratti a una offerta di redenzione”. Mentre l’indulto è la chiara testimonianza “di un percorso fallito”.
“Oggi siamo in grado di fare i conti: le nostre carceri sono piene esattamente come lo erano il primo giorno dell’indulto”, sottolinea Alfano, chiarendo che la ragione è da ravvisarsi nella “recidiva, poiché non c’è stato un percorso di recupero dell’umanità. Perché non è stato offerto il ‘bivio'”, ovvero la possibilità, la scelta di tornare a delinquere o di ricostruirsi.
“Tutto il nostro lavoro – conclude Alfano – deve essere finalizzato a questo”, cioè all’offerta del ‘bivio’.
Fonte: Adnkronos