Sono maturi i tempi per dare ai figli legittimi il cognome della madre. Lo ribadisce la Cassazione in una sentenza della prima sezione civile (n. 23934) con la quale chiede addirittura al primo presidente della Suprema Corte di poter in un certo qual modo colmare il vuoto normativo e dare la possibilità ai giudici di fare sì che, se i genitori lo vogliono, i figli possano avere il cognome della madre anziché quello del padre.
Diversamente, scrivono i supremi giudici, “se tale soluzione sia ritenuta esorbitante dai limiti dell’attività interpretativa la questione possa essere rimessa nuovamente alla Corte Costituzionale”.
In effetti, rilevano i giudici di piazza Cavour, che i tempi siano maturi per dare ai figli il cognome della madre lo imporrebbe anche “la mutata situazione della giurisprudenza costituzionale” e il “probabile mutamento delle norme comunitarie”.
Ad indurre la Cassazione ad intervenire nuovamente sul cognome da dare ai figli, il caso di una coppia di Milano, che per ben due gradi di giudizio si erano visti negare la possibilità di attribuire al figlio minore Guido, nato nel giugno del 2003, il cognome della madre. In particolare la Corte d’Appello di Milano, nel febbraio 2007, imponendo il cognome paterno aveva rilevato il vuoto normativo evidenziando la “persistente validità alla norma consuetudinaria che impone al figlio legittimo il cognome paterno”. Contro il doppio no dei giudici la coppia milanese ha fatto ricorso alla Cassazione. Ed ora la Suprema Corte, accogliendo la rivendicazione dei genitori, chiede con insistenza al primo presidente di poter decidere direttamente. Del resto, rilevano i giudici della prima sezione civile, a far ritenere che siano maturi i tempi per dare ai figli il cognome della madre vi sono numerose pronunce. Non solo della Corte costituzionale che, nel 2006, aveva stabilito che “il sistema di attribuzioni del cognome non è più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”. Sulla stessa lunghezza d’onda vi è pure una decisione adottata nel dicembre 2007 dai capi di Stato e di governo dei 27 capi della Ue e vi è pure la ratifica del Trattato di Lisbona dello scorso 2 agosto. Da ultimo, concludono gli ermellini, vi sono pure delle pronunce della stessa Corte di cassazione che per ben due volte ha “implicitamente sollecitato un intervento del legislatore che, pur avendo affrontato il tema da ormai quasi un trentennio non è ancora pervenuto a soluzioni concrete”.
Fonte: Adnkronos